Cultura

The Iron Lady: un passato molto presente

di Federica Mordini

Anche il cinema, si sa, è sensibile alle mode e alle tendenze. Alcune restano, altre svaniscono ed ecco che i grandi schermi vengono calcati, all’evenienza, da saghe spaziali, mondi magici, licantropi innamorati e maghetti perseguitati. Poi c’è il biopic (biographical picture, n.d.r ), che resta un evergreen. La ricetta, però, è sempre la stessa: si sceglie un figura storica che ha lasciato il segno, la si fa interpretare ad un mostro sacro dell’Olimpo hollywoodiano, si sceglie un taglio “alternativo”, cioè si svelano i retroscena e i lati nascosti della vita del personaggio e, infine, si incassano milioni di dollari al botteghino, ingoiando i soliti giudizi masticati da una critica ridondante e scontata. Ormai le agiografie in pellicola non si contano più: Ray Charles, Ghandi, Harvey Milk, J. Edgar, Mohamed Alì e chi più ne ha più ne metta. Era solo questione di tempo prima che qualcuno si decidesse a ritrarre anche colei che ha serrato, per ben undici anni, la politica europea e internazionale nel suo pugno ultraconservatore, conquistando record a volte amari e altre storici: Margaret Tatcher.

“The Iron lady”, diretto da Phyllida Lloyd, rispetta in toto le fasi di preparazione di questo prodotto cinematografico: di sicuro la Tatcher è un personaggio che ha lasciato il segno e che, tutt’ora, nonostante la veneranda età, continua a presenziare ad eventi o incontri politici. Meryl Streep fa il resto. Complice il make-up e il suo innato talento, ci regala un’interpretazione fedele e quanto mai accattivante della lady di ferro al tramonto. La regia della Lloyd, poi, stupisce. Il ritmo a singhiozzo in cui incastra lo spettatore, non è soltanto un espediente stilistico consumato. Lo spettatore, infatti, segue il moto ondulatorio temporale di un’altalena narrativa, che lo trasporta a scatti, ora agli albori della carriera di Margaret Roberts, ora all’apice del Tatcherismo, ora al triste presente, che la vede alle prese con la demenza senile.

Il leit motiv del film rimane, comunque, il mix di forza e determinazione, perseguite a livelli quasi patologici, che contraddistinguono Margaret Tatcher, sia che si venga sbalzati ai tempi della sua giovinezza, sia alle giornate attraversate da continui ricordi e dai dialoghi immaginari con il marito scomparso ormai da anni, che scandiscono la sua vecchiaia. “The Iron Lady” propone una versione edulcorata del cursus honorum irto di ostacoli, pregiudizi e sotterfugi che una donna dal mind-set conservatore ha imposto ad una nazione altrettanto conservatrice e affetta da un tessuto sociale patriarcale. Per alcuni istanti mostra anche l’umanità, le debolezze e le mancanze, soprattutto nel frangente affettivo, che, però, vengono scacciate come mosche dalla razionalità integralista a cui la lady di ferro fa capo ad ogni età, diventando la prova vivente di una delle sue perle: “Ciò che pensiamo, diventiamo”.

Considerare “The Iron Lady” un semplice biopic sarebbe riduttivo: non è difficile scorgere nell’andatura a singhiozzo tra il passato affrontato a muso duro dalla Tatcher e il presente “malato” ma speranzoso vissuto dalla stessa, un riferimento marcato, anche se piuttosto subdolo, con il nostro presente: quello della crisi economica mondiale, delle guerre, dei rapporti diplomatici spinosi e dei sacrifici. L’unico difetto ( chissà se ricercato o meno) del film è la presenza ingombrante della Streep, che ruba letteralmente la scena a qualsiasi altro personaggio, al punto da renderne difficile il ricordo, anche solo fisico. Per il resto la fatica della Lloyd offre uno spaccato interessante di una fetta di storia e di politica troppo recente per le nuove leve e troppo amara per quelle più in là con gli anni, ma che è giusto ricordare, per non dimenticare.

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