Cultura

Scuola laica

di Riccardi Carcano Casali

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Nel marasma che ha fatto seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui esporre il crocifisso nelle aule scolastiche rappresenta «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni», si sono viste raramente reazioni equilibrate sia da parte dei nostri rappresentanti politici che da parte di chi li ha votati. Nelle amministrazioni comunali i partiti cattolici e tradizionalisti al potere hanno subito protestato, emettendo ordinanze pro-crocifisso, raccogliendo firme, inviando ai giudici della Corte di Strasburgo crocifissi a scopo provocatorio. Iniziative demagogiche, rumorose e poco utili al dibattito, ma che sottolineano come il problema non sia da poco.
Esclusa infatti  una frangia minoritaria di anticlericali agguerriti, che hanno salutato con entusiasmo la sentenza, la maggior parte degli italiani non sembra affatto contenta della decisione e i nostri politici, sia di maggioranza che all’opposizione, sembrano per una volta in linea col pensiero dei cittadini, sebbene con sfumature diverse a seconda dell’orientamento. Così la conflittualità tipica del nostro paese si sposta dal piano interno, dove la diatriba sulla religione è da sempre piuttosto accesa, a quello esterno. I bersagli dell’opinione pubblica rischiano dunque di diventare le Istituzioni europee, anche in casi come questo, dove a emettere la sentenza è stato un organo, la Corte dei diritti umani di Strasburgo, che ha poco a che vedere con l’Unione Europea, essendo stato creato antecedentemente e separatamente rispetto ad essa. Ma la sentenza in sé è giusta?
Prima di discuterne conviene ricordare il significato di un concetto, quello di laicità, attorno al quale si è sviluppata la polemica, e che viene spesso usato a sproposito. La  laicità, ha ricordato Claudio Magris sul Corriere della Sera del sette novembre, “non è negazione di alcuna fede religiosa e può anzi coesistere con la fede più appassionata, ma è distinzione rigorosa di sfere, prerogative e competenze”. Coloro che attaccano il crocifisso con tanta veemenza invocando la laicità delle istituzioni  sembrano spinti più da un ateismo bellicoso che da un sincero desiderio di preservare la libertà dello Stato dall’ingerenza dei dogmi religiosi.
È comunque vero che ragionando da laici veri è difficile riuscire a dare una giustificazione razionale della presenza del crocifisso nelle aule. In fin dei conti è inoppugnabile che nei luoghi pubblici, emanazioni dello Stato laico, la religione dovrebbe rimanere fuori dalla porta. Ecco allora che il nodo appare inscindibile: da un lato una pratica, quella del crocifisso nei luoghi pubblici, estremamente diffusa e apprezzata (o se non altro accettata) dalla maggioranza della popolazione. Dall’altro l’ingerenza in uno dei principi, la laicità, che dovrebbero stare a fondamento di uno stato come il nostro.
In questo caso, per chi scrive, si è creato tanto fumo e niente arrosto. Il crocifisso è sempre stato lì, e, a parte qualche caso isolato, non ha mai creato tanti problemi. Simboleggia valori comunemente accettati anche da una morale non religiosa, come il sacrificio, l’altruismo, la pietà, e non ha mai creato disagi a chi non gli riconosceva un valore religioso, fosse costui, agnostico, ateo, buddista o musulmano. Il fraintendimento, se c’è stato, è stato di tipo giudiziario, ossia la pretesa di regolare tramite il diritto una consuetudine che non rientrava nella sua sfera. Non tutto è materia di legge. Sia un diritto a rimuovere un simbolo religioso da una scuola, sia un diritto ad esporlo, rappresenterebbero un’ingerenza della giurisprudenza in una sfera dove i normali processi sociali – una classe particolarmente religiosa che decide di comune accordo di esporre un crocifisso, una decisamente meno che decide di non farlo- sono più che sufficienti a gestire la questione. Perché una cosa sono i preti, un’altra i simboli. E sono i preti, non degli innocui crocifissi, a dover essere tenuto fuori da scuole e parlamenti

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