Cultura

#SalTo16 – I passatori, contrabbando di poesia

Il pretesto è quello di presentare una giovane collana di poesia, I passatori, della casa editrice indipendente CartaCanta. Davide Rondoni, poeta e curatore della collana, ha un modo di parlare che ti fa sentire un po’ a disagio sulla sedia; perché anche se ancora non hai detto nulla (né hai la minima intenzione farlo) il tuo stare lì seduto con i piedi caldi e la pancia piena è comunque un po’ colpevole. Di proposito elide tutte le premesse: come se di fatto continuasse un dialogo avviato da tempo con un immaginario interlocutore sfrontato e pignolo, che lui giustamente si sente di rimettere al proprio posto. Parla una decina di minuti, non di più. Penso si possa riassumere il suo intervento in un paio di punti. Primo, la poesia non è un fenomeno editoriale. Secondo, non lo è mai stato.

Il primo punto non stupisce nessuno. Frasi come  «la poesia non vende» o «non si pubblicano più libri di poesia» vengono ripetute come mantra ad ogni incontro sul tema o lettura pubblica di poesie; aggiungerei con un certo sotterraneo autocompiacimento, come se ciò rendesse i pochi che ancora ne leggono naufraghi superstiti, segretamente eletti. Ognuno riconosce i suoi, certo. Montale sarebbe andato in brodo di giuggiole.

L’associazione libro-poesia è un’associazione arbitraria. Il libro non è la forma prediletta di diffusione della poesia; che viaggia da sempre, preferibilmente, su altre strade. Quelle della performance, della recitazione orale; o del giornale, dell’opuscolo, della rivista. Forme che hanno in comune un certo carattere fluido e, in qualche modo, volatile. Ha quindi ben poco senso imputare a noi contemporanei di averla bistrattata e ceduta senza rimpianto a polverose professoresse in pensione e a circoli di lettura del martedì sera. La poesia non vende ora, e non ha mai venduto. Perché non è fatta per vendere, semplicemente. E’ una scelta editoriale in perdita, che più che coraggiosa sarebbe da definire suicida. Eppure ci sono editori (soprattutto piccoli editori) che malgrado le premesse continuano a pubblicarla. Mi rifiuto di credere che sia per filantropia. (Qualcuno forse penserà che non c’è nulla di male, a pubblicare per filantropia. A me l’idea fa inspiegabilmente ribrezzo; e visto che l’articolo lo scrivo io, mi si concederà di scartare l’ipotesi senza troppe spiegazioni). Non per filantropia, dicevo. Allora per cosa? Può forse venirci in aiuto la scelta di intitolare la collana I passatori. Il termine ha un doppio (ma connesso) significato: passatore è sia chi traghetta i passeggeri da una sponda all’altra del fiume, ma anche chi aiuta ad attraversare clandestinamente le frontiere, attraverso valichi alpini.

Recupero qui la definizione che Anna Boschetti diede di Elio Vittorini come di un “passatore di frontiere”. Ispirandosi a questa metafora Riccardo Paterlini, studioso dei rapporti tra letteratura e arti visive e dottorando a Bologna, scrive in un suo articolo sull’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia:

Lo scrittore incarna a pieno l’habitus eretico del “contrabbandiere” con tutti gli elementi di positività che questo comporta: in particolare l’essere “passatore di frontiere” capace di traghettare da oltre confine la produzione letteraria ed editoriale migliore del momento sfuggendo ai “controlli di dogana”.

L’idea che la poesia sia una forma di contrabbando. Che lo scrittore di poesia, così come il contrabbandiere, si muova in territori di confine di cui conosce i sentieri più dimessi e scomodi (quelli che portano oltre la frontiera). Non so a voi, ma questa pare una ragione più credibile (più della filantropia) per cui prendersi la briga di pubblicare poesia.

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