Cultura

#SalTo16- La lingua misteriosa dei treni

Al Salone Internazionale del Libro di Torino sono stati tanti gli ospiti più o meno celebri che hanno presentato nuovi libri, propri o di altri e affrontato allo stesso tempo temi diversi e variegati. Addirittura c’è chi ha voluto fare un omaggio alla nostra famosa rubrica sui pendolari parlando di treni.

Ebbene sì, noi pendolari siamo stati presenti anche al Salone del Libro insieme ai nostri inseparabili compagni di viaggio. Vi starete chiedendo chi è il folle che ha deciso di scrivere un libro interamente dedicato ai treni e di parlarne per una buona ora di conferenza…ebbene, il pazzo in questione è Beppe Severgnini, giornalista del Corriere nonché produttore e presentatore del programma L’Erba dei vicini su Rai 3 nonché già ospite del Festival del Giornalismo di Perugia (sì, Inchiostro lo tiene d’occhio da un po’ di tempo). Questa volta il giornalista, insieme alla collega Stefania Chiale, ha dedicato l’incontro con il pubblico a una bella riflessione sui viaggi in treno visti dalla prospettiva dello scrittore che con la sua estrema sensibilità riesce a percepirne il senso più profondo.

Severgnini esordisce con un’affermazione che lascia stupiti: i treni parlano. Ed è giusto parlare di loro. Perché il viaggio in treno può essere una vera scoperta. In treno si riflette, si crea, si conosce. Si va alla ricerca di se stessi perché, afferma Severgnini, i treni funzionano come uno specchio e riflettono il panorama che sta dentro di noi. E non solo, perché riflettono anche il Paese stesso funzionando come termometro sociale; permettono di stare a contatto con persone provenienti da diversi strati e ambiti della società, ognuna con la propria storia, il proprio vissuto: si tratta di un prezioso campione sociale. Il giornalista utilizza una metafora davvero esplicativa per esprimere il concetto: il treno è democrazia e umanità in movimento. Al di là di prima o seconda classe, economy o business class, “a bordo” si è tutti uguali.

Quando si parla di treni, però, non si può non fare riferimento alla stazione, simbolo della partenza nonché meta del viaggio stesso e luogo di straordinario fascino dove chi davvero sa guardarsi attorno può scoprire molto. I caffè e i ristoranti delle stazioni, poi, costituiscono dei veri e propri microcosmi a parte dove dinamiche sempre nuove si susseguono nella quotidianità, apparentemente banale e invece ricca di sorprese. “Il mondo è una sorpresa quotidiana” e soprattutto non è solo quello raccontato dai quotidiani, ma quello che si crea sotto ai nostri occhi ogni giorno negli stessi luoghi nei quali trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, treni in primis.

Beppe e Stefania raccontano la propria esperienza con questi “amati/odiati” mezzi di trasporto e la maggior parte del pubblico non può che identificarsi nelle loro avventure. Forse, farlo con il racconto di Severgnini è leggermente più difficile vista la quantità dei suoi viaggi in giro per il mondo, che farebbero impallidire qualsiasi comune pendolare. Il suo viaggio di nozze lo ha trascorso percorrendo la Transiberiana da Mosca a Pechino, ha attraversato gli USA con suo figlio e nell’89 ha viaggiato da Varsavia a Berlino Est finendo per dover attraversare il Muro a piedi con tutti i rischi e i pericoli che questo poteva comportare. Insomma, Beppe Severgnini di treni ne sa, eccome, ed è riuscito a riassumere tutte le sue esperienze in un concentrato potente e di successo: il suo libro pubblicato nel 2015, “Signori, si cambia”.

Ma non è stato l’unico a scrivere di treni. Nella letteratura italiana e straniera ci sono stati grandi autori che hanno dedicato loro pagine, capitoli, libri interi. Da Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore” al Vittorini di “Conversazione in Sicilia”, Tim Parx con “Coincidenze” o Valery Larbaud con la sua bellissima ed emozionante “Ode”, poesia dedicata interamente ai viaggi ferroviari. E ancora Dino Buzzati e Mario Soldati che definisce i treni “distributori di gioia” … e gli esempi sono davvero molti. Il punto su cui Severgnini vuole concentrarsi di più, lo si capisce subito, è l’inaspettata portata “simbolica” del viaggio in tutte le sue componenti, dalla vigilia della partenza, al percorso vissuto insieme agli altri viaggiatori.

«Il viaggio è un fertilizzante mentale»: stimola la nascita delle migliori idee. In più “fertilizza” perché lascia spazio a tutte le attività che normalmente non si ha il tempo di svolgere, ad esempio leggere, tanto per rimanere in tema. Per un viaggiatore, assiduo o occasionale, la partenza (e nella letteratura il Viaggio per antonomasia è stato fin dal passato quello in treno) è considerata come l’inizio di un cambiamento, un mutamento importante all’interno della propria vita, anche se di breve durata e verso destinazioni poco ricercate; si tratta pur sempre di un allontanamento che, malgrado la storia porti esempi davvero negativi (basti pensare ai treni che partivano dal famoso Binario 21 diretti verso i campi di sterminio nazisti), assume una connotazione positiva in quanto ricerca di conoscenze e nuove scoperte. Insomma, si arricchisce di connotazioni simboliche che vanno al di là di qualsiasi banale racconto o critica mossa nei confronti della compagnia ferroviaria di turno senza pensare invece ai valori che un sano viaggio in treno può invece insegnare.

Lo sa bene l’autore che, più di una volta, ha condiviso molte avventure con suo figlio, il che lo ha portato a riflettere sul senso del partire, soprattutto se con le persone che si amano, ad esempio i figli, nuove barche che escono dal porto e si dirigono a vele spiegate verso l’oceano della vita. Sempre attraverso un nuovo ed emozionante viaggio. Viaggiare in treno, perciò, vuol dire tante cose; non si esaurisce nel preparare eventuali zaini o valigie, comprare un biglietto, cercare un posto a sedere magari sgomitando e soprattutto puntando su quello più tranquillo per dormire. Vuol dire predisporsi ad affrontare un nuovo percorso (anche se si tratta dello stesso di tutti i giorni) durante il quale si incontreranno forse ostacoli, nuovi compagni, vecchie conoscenze che magari diventeranno amicizie, se stessi. Questo è il bello dei treni, il fatto che in qualche modo parlino a chi davvero li sa capire, in una lingua misteriosa che, chi davvero li vive con un cuore e una mente leggeri sempre pronti a sorprendersi ed emozionarsi, può davvero comprendere. Valéry Larbaud scriveva «Ho sentito per la prima volta la dolcezza di vivere in una carrozza del Nord-Express, tra Wirballen e Pskow…»

Dovremmo tutti cercare quella dolcezza ogni volta che saliamo su un treno, l’ennesimo, sicuramente controvoglia, contro tutto. Dovremmo provare ad interpretarne la misteriosa lingua così da poterlo capire e vivere al 100% per rendere il nostro viaggio speciale.

Anche se si tratta del solito itinerario con Trenord!

 

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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