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Pizze surgelate, pizzate, e date di scadenza

 

di Chiara Valli

 

Vogliamo parlarne? Vogliamo seriamente parlarne? E parliamone.
Pare sempre più gettonato, soprattutto in concomitanza della bella stagione, con l’approssimarsi dei pomeriggi al parco nascosti tra le margherite, il diffondersi dei daivediamocitipregovediamociinonoredeitempiandati, di vecchie compagnie del liceo.
Ritornano con cadenza annuale, e sono prevedibili quanto sgradite. Non è ben comprensibile cosa si voglia ottenere da simili rimpatriate, da queste pizzate (che ammettiamolo, è un termine che non esiste, ma soprattutto è di una bruttezza difficilmente udita prima che fosse coniato in seconda superiore) tra persone che non hanno visibilmente più nulla da dirsi.
La scaletta degli argomenti solitamente segue quest’ordine:
‘oh mio dio, quant’è bello vedeeerti’ (tono acuto spesso seguito da gridolino, se la persone in questione è sinceramente felice d’incontrarci),
per sfociare in un ‘Allora l’università? Gli esami? Ti trovi bene? Ti piace?’ e non è ben chiaro, come mai, queste conversazioni simpaticissime avvengano sempre quando ci troviamo nel bel mentre dei nostri momenti da PARANOIA DURA, in cui tutto ci pare fiacco, e poco stimolante, per cui, oltretutto, siamo pure portati a fingere un entusiasmo che non sentiamo. E dopo un quarto d’ora abbondante, così abbondante da sembrare infinito, durante il quale abbiamo pure dovuto contraccambiare un ‘E tu? Tutto bene?’, sorseggiando il sorseggiabile nel frattempo, alzando gli occhi verso l’interlocutrice, annuendo nei momenti topici pregando sempre che non ci venga posta la domanda ‘Tu cosa ne pensi?’ perché non sapremmo cosa rispondere.
E’ soddisfatta? Non lo è? Perché non ho ascoltato il suo cinguettio? Solitamente non è difficile, ce lo si gioca in un cinquanta e cinquanta, o è strafelice, o tutto va male. Mantenendo una posizione neutrale, come la Svizzera, e sorridendo, ce la si può cavare.
Ma’l bello deve ancora arrivare. Dato che ci si rende conto che nel presente si è davvero troppo distanti, ci si tuffa nei ricordi del liceo, ‘Ti ricordi questo? E ti ricordi quest’altro? E quella là che fine ha fatto?’, si possono piazzare delle pause ad effetto prima di sfoderare pettegolezzi ed ultime novità sui non presenti, ci si dilunga, così, sulle storie finite degli altri, sui loro fallimenti, sul fatto che non abbiano ancora dato l’esame della patente, o che svolazzino di fiore in fiore.
Gli spetegules conciliano le risate, è risaputo, ed anche una certa fratellanza, così ci sembrerà di essere ancora lì, sedute su sedie un po’ vacillanti, bloccate in banchetti di legno, sonnecchiando tra libri di pedagogia, appunti scopiazzati di matematica e carte di cicche all’anguria.
E forse ci verrà pure l’occhio lucido, e magari lo penseremo anche distintamente ‘QUANTO MI SONO MANCATE’, ma è frazione d’un attimo che ci si saluta, che si schioccano i tre baci sulla guancia destrasinistradestra, che ci si promette di rivedersi al più presto, di non far passare ancora così tanto tempo, perché ‘Insomma, ne abbiamo passate così tante insieme, che sarebbe un peccato perdersi’.
Il giorno dopo è possibile che le richiameremo, il crogiolarsi nelle nostalgie da liceali scade all’incirca dopo quattro giorni, e si ricomincia il tram-tran di sempre.
Ed è questo il punto, la data di scadenza. C’è qualcosa che non scade? Se pensate di no, aprite il frigo e la maggior parte delle cose saranno da buttare. Perché tutto dopo un po’, dopo tanto o poco tempo, va a male, anche le cose a lunga conservazione.
E se ci fosse un modo carino per dire che ‘Ehi, io non ce l’ho con te, davvero, sei stata una delle persone migliori che ho conosciuto, e senza di te la maturità sarebbe stata ingestibile, e ci siamo divertite un sacco, e ti voglio davvero bene, ma non abbiamo più niente da dirci. E questa non è necessariamente una cosa brutta, ci siamo spremute fino all’inverosimile, ci siamo raccolte reciprocamente con delle palettine da gelato, e ci siamo fatte del bene, ma adesso non c’è più niente. Perché le cose finiscono, le pile si esauriscono, anche le Duracell, sì. Potremmo anche rivederci, potremmo farlo, sì, ma ci aspetteremmo le persone che si sono salutate due anni fa, e quelle persone non ci sono più, e queste, quelle di ora, non so cos’abbiano in comune, forse niente. Non mi va di scoprirlo, sai. Preferisco quelle di allora. E non mi fraintendere, mi manchi, ma preferisco ricordarti e sorridere piuttosto che trascinare un rapporto per inerzia’, lo si direbbe.
Si accetta troppo poco la realtà che il più delle volte, non si può fare più nulla, perché le persone cambiano e le cose finiscono, senza un motivo, semplicemente non ci si ferma.
Le cose, le tazze, le felpe, durano più dei rapporti.
Da qualche parte in un ripostiglio, avremmo ancora la cartella delle elementari, o i quaderni su cui abbiamo imparato a scrivere, ma non è un buon motivo per rimettersi il grembiulino nero, no?

Un pensiero su “Pizze surgelate, pizzate, e date di scadenza

  • Ho incontrato un compagno di classe delle elementari dopo undici anni, per caso, alla marcia della pace fra Lodi e Casalmaiocco. E’ stato molto più imprevisto, molto più bello.
    Tanto fra noi soliti quattro cazzoni del liceo, ci si trova comunque a far danno, nei week end, anche se devo ammettere di aver avuto forse l’unica classe del mio liceo lodigiano dove non c’erano gruppetti che di fronte si salutavano, per poi andarsene e mostrando coltelli piantati nella schiena ai passanti.

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