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Per un museo della lingua italiana

Dal Settecento, secolo in cui nasce il museo inteso nel senso moderno del termine, fino al primo ventennio del duemila, si è assistito ad una vera e propria proliferazione di strutture museali come veicolo di trasmissione e divulgazione culturale: ad oggi, infatti, nel mondo esistono musei di ogni tipo, alcuni fino a venti o trenta anni fa inimmaginabili, che attirano turisti da tutto il mondo grazie alle proprie (più o meno stravaganti) collezioni. Attualmente il museo assume una duplice funzione: da un lato si occupa di conservare un patrimonio, dall’altro di diffonderne una conoscenza. I musei coinvolgono principalmente due categorie, i curatori e i fruitori: se i curatori sono spesso persone competenti nell’ambito di cui il museo offre un’esposizione di opere, in accordo con professionisti del settore, i fruitori sono invece molteplici, in particolare turisti. La diffusione dei musei in epoca moderna è strettamente correlata al cosiddetto turismo culturale, che si diffonde nella seconda metà del Novecento grazie a un più elevato livello medio d’istruzione dei cittadini (principalmente) europei, che si mettono in viaggio recandosi in centri anche minori per scopi culturali, come appunto visitare un determinato museo, ma è anche correlata all’heritage turism, il cosiddetto “turismo per segmenti”, che divide la cultura in specifici settori, i quali tutti insieme contribuiscono a definire l’identità di un luogo o di un popolo.

Date queste premesse sull’istituzione museale e sul suo rapporto con i flussi turistici, diventa chiara l’urgenza di un tipo di museo piuttosto originale, che manca al nostro paese, proposto in un volume molto ricco circa un anno fa dal linguista Giuseppe Antonelli, da quest’estate professore ordinario di Linguistica italiana e di Storia della lingua italiana presso l’Università degli studi di Pavia, un museo della lingua italiana. Antonelli struttura il suo volume, intitolato proprio Il museo della lingua italiana (edito da Mondadori in un volume particolarmente corposo ed esteticamente curato, tale da richiamare quasi gli antichi codici), proprio come se fosse un museo, un museo che però ancora non c’è: tre grandi piani (l’italiano antico, l’italiano moderno e, più in alto, l’italiano contemporaneo) suddivisi in quindici stanze che contengono in totale sessanta oggetti significativi per la storia del nostro idioma, correlativi oggettivi che fungono da testimoni degli snodi che hanno cambiato la nostra lingua.

Circa un anno dopo la pubblicazione del volume, Antonelli lancia sul web insieme al collega, maestro, collaboratore e amico Luca Serianni, professore emerito di Storia della lingua italiana all’Università La Sapienza di Roma, una petizione su change.org per un museo della lingua italiana propriamente detto: un luogo d’esposizione che non ospiti solo documenti ma anche oggetti; che non sia solo da guardare, ma anche (anzi, soprattutto) da visitare con una percezione partecipativa, esperienziale (in linea con le esposizioni museali contemporanee); un museo che non voglia difendere a tutti i costi la lingua italiana, ma che cerchi di illustrarne la storia, i processi e gli sviluppi, ponendosi l’obiettivo di riflettere anche in generale sulla lingua, strumento di comunicazione che tutti possediamo, ma delle cui possibilità non molti sembrano avere perfettamente coscienza, soprattutto per quanto concerne il suo potenziale culturale.

Urgente è la necessità di una maggior consapevolezza del mezzo linguistico: forse per colpa di un’istituzione scolastica un po’ ripiegata su sé stessa, si è più che mai diffusa la tendenza a identificare la lingua italiana (in particolare quella scritta) con quella letteraria, o, ancora di più, con quella che si scrive a scuola (quindi, sostanzialmente, i temi). In realtà la situazione è un’altra: negli ultimissimi anni si è assistito in Italia (ma non solo) ad un ritorno prepotente della scrittura (anche se alcuni linguisti sostengono che questo ritorno si sia già bruscamente interrotto), concretizzatosi prima nelle e-mail, poi negli SMS e infine nei Social, in particolare con WhatsApp; il risultato è che l’analfabetismo di ritorno (concetto teorizzato in particolare dal compianto linguista Tullio De Mauro) non è più nascosto e velato, ma al contrario si nota nei più piccoli errori di ortografia dei post su Facebook o nelle Chat, ma, ancora di più, nell’incapacità di creare un testo coerente di qualunque tipo, o, nel peggiore dei casi, nell’incapacità di leggere e di comprendere un articolo in una qualunque pagina web. Non serve una de-letteralizzazione della lingua, ma una considerazione globale di essa e dei suoi molteplici aspetti: non una sola lingua italiana, ma “più lingue italiane” (intendendo variazioni della stessa lingua diacronicamente, diastraticamente ecc) , che si utilizzano a seconda del contesto e delle necessità comunicative. In questo senso, l’azzeramento dei dialetti a favore di un italiano puro è stato un tentativo inutile e fallimentare (oltre che idealmente discutibile): i dialetti sono ancora vivi e vegeti, e anzi negli ultimi anni stanno vivendo un vero e proprio ritorno sia nei giovani, sia nell’evoluzione dei differenti mezzi di comunicazione più letterari o più popolari (la poesia, la canzone, la televisione, il cinema e molto altro); ancora, i dialetti agiscono come fenomeni di substrato sull’italiano che parliamo tutti i giorni, il cosiddetto italiano regionale, quello che fa sì che il parlante italiano riesca tendenzialmente a distinguere la pronuncia di un romano da quella di un veneto, oppure che fa capire chi ci passa er cortello viene da Roma, mentre chi saluta il mi babbo viene dalla Toscana.

un museo della lingua italiana è necessario anche perché la questione della lingua viene aperta regolarmente per svariate ragioni, puntualmente esibito da figure che vogliano farsi paladine della cultura nostrana, ma anche da chi invece ne sostiene un uso sempre minore a favore del più moderno inglese. La reale necessità è più moderata: un museo senza dubbio accrescerebbe la consapevolezza linguistica dei cittadini, che così potrebbero orientarsi con più criterio all’interno di un così complesso dibattito; inoltre sicuramente attirerebbe turisti sia italiani che stranieri. Il cosiddetto Italian lifestyle (dal menù, all’abbigliamento, alle abitudini sociali) è ammirato ed emulato ovunque nel mondo, la storia della nostra cultura è affascinante (anche quando spesso distorta in stereotipi e variopinti immaginari) per intere comunità: in quanti paesi si studiano Dante o Macchiavelli (attraverso traduzioni)? In quanti conoscono L’italiano di Cotugno o Pavarotti? Quanti nel mondo mangiano la pizza o gli spaghetti?

Insomma, un museo della lingua italiana serve a tutti; per conservare il patrimonio e la ricchezza linguistica della nostra lingua, ma al contempo per diffonderne non solo la storia, ma appunto una maggior consapevolezza. Se volete anche voi contribuire alla petizione a favore del museo della lingua italiana, non vi resta che firmare qui!

https://www.change.org/p/ministero-per-i-beni-e-le-attivit%C3%A0-culturali-e-per-il-turismo-per-un-museo-della-lingua-italiana-che-ne-celebri-la-storia-l-importanza-la-ricchezza?recruiter=1018798161&recruited_by_id=9a2a5280-06df-11ea-8ce7-1d6ec5773f3d&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=petition_dashboard

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