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‘NDRANGHETA AL NORD, una colonizzazione dalle fondamenta.

di Francesca Lacqua

“Lunedì 18 nell’Aula Magna dell’Università Centrale, il magistrato, Giuseppe Gennari che ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari nelle principali inchieste di ‘ndrangheta condotte a Milano, ha dialogato con Marco Magnani, direttore di Jaromil, ponendosi alcune importanti domande: quali sono stati i momenti fondamentali che hanno portato la Lombardia ad essere la TERZA regione italiana per infiltrazioni mafiose? Cosa ha cambiato l’operazione Infinito nei fatti e nella percezione del problema? Che cosa è “La Lombardia”? Quali possono essere gli strumenti di contrasto?Cosa si può migliorare nel nostro Codice Penale? E il 416 ter, è davvero una misura utile nel stroncare i rapporti tra mafia e politica?

La prima organizzazione mafiosa ad “insediarsi” al nord, negli anni 70 del 1900, è stata la mafia siciliana con i primi sequestri di persona, atti che permettevano un forte introito di denaro nelle casse dell’organizzazione. I calabresi poi hanno seguito l’esempio e presto hanno “superato il maestro” portando a pieno regime quell’ industria dei sequestri i cui ricavati erano investiti nel commercio della droga. Quella che va dal 1990 al 1995 è la fase delle grandi indagini dei magistrati storici, Falcone per citare il più noto, in cui alle grandi stragi seguono le numerose indagini.Sulla base degli arresti ottenuti, si arrivò alla stagione de “la grande illusione” in cui il problema sembrava essere stato risolto. Mai pensiero fu più sbagliato. In dieci anni le organizzazioni mafiose si sono trasformate. L’incendio non era stato estinto. Lavoravano silenziosamente senza dare nell’occhio: superato il metodo stragista, la ‘ndrangheta dirotta le proprie attività su altri settori, la finanza e  la cocaina riunscendo a rinforzarsi. Nel 2010, con l’operazione Infinito, sottolinea Gennari, non si è affermata la verità totale sulle infiltrazioni mafiose nel nord Italia ma si sono aperti i margini di comprensione della struttura organizzativa ndranghetista: non parcellizzata e disorganizzata ma costituita su base gerarchica anche in Lombardia. Capire l’autonomia del fenomeno lombardo rispetto a quello calabrese ha permesso alla procura di Milano di poter agire, avendo essi la competenza territoriale, e non dover cedere l’intero caso alla procura reggina. Il quadro dato dall’operazione resta comunque parziale: esisterebbe un organismo superiore, “La Lombardia”, organo di raccordo con le famiglie calabresi in Calabria, che coordinerebbe le unità organizzative di base, i locali, corrispondenti ognuna ad un comune. Tuttavia le indagini hanno dimostrato che non tutte le famiglie ‘ndranghetiste note lombarde fanno parte di quell’organismo centrale, pertanto si è portati a pensare che “la Lombardia” sia la fetta di un fenomeno più complesso ancora da accertare.

Dalla storia si passa a parlare dei possibili modi di contrasto alla criminalità organizzata partendo dalla nostra legislazione e dai suoi limiti: Gennari sottolinea che l’attività di contrasto giuridico dovrebbe essere l’ultimo tassello di un più generale salto di qualità culturale favoribile da una normativa civile. Una prima falla è in relazione al rapporto mafie – imprenditoria: esiste una zona grigia fatta di imprenditori che occasionalmente vengono a contatto con l’organizzazione malavitosa ma che non sono perseguibili dalla legge perché nel Codice non esiste un provvedimento attuabile contro di loro perchè di fatto non commettono reato. E’ necessario far capire all’imprenditoria che lo scambio con la criminalità non è sano, seppur conveniente, in quanto avere rapporti con il mafioso di turno permette agevolazioni, competitività, servizi aggiunti in quanto derivanti da un’organizzazione criminale. Dall’imprenditoria alla politica: la legislazione dovrebbe, continua Gennari, ripensare al rapporto mafie – politica e voto di scambio: è necessario modificare la legge in materia 416 ter, perché di fatto così formulata non porta a risultati sufficenti: “La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro.” Traducendo dal giuridichese, non accade di fatto quasi mai che il politico dia al mafioso denaro in cambio di voti, piuttosto accade che dia promesse. Lo scambio promesse – voti non è perseguibile dalla legge; tuttavia nuoce alle campagne elettorali e alla composizione amministrativa e governativa.
In ultima analisi, guardando alle prospettive reali del fenomeno, bisogna notare l’aspetto più sconcertante -e che deve fare riflettere noi tutti- cioè che se l’organizzazione mafiosa nel nord Italia, o in generale nell’Italia stessa, è riuscita ad ottenere così grande successo è dovuto all’humus favorevole che ha trovato. Un terreno fertile in cui operare fatto di corruzione selvaggia, favoritismi, strette di mano. Un terreno in cui la fiducia nelle istituzioni pubbliche viene a mancare giorno per giorno. Tutte le mafie non fanno altro che portare alle estreme conseguenze la tendenza italiana al clientelismo con mezzi illeciti. Il contesto sociale in cui viviamo, ammonisce Gennari, pone la percezione della legalità come ultimo problema. È ovvio quindi che finchè almeno non ci stupiremo e non ci indigneremo noi per primi cives, cittadini pensanti e agenti, le organizzazioni mafiose troveranno prosperità e l’attività criminale sarà destinata al successo. Dobbiamo renderci conto che non è un problema del vicino di casa  ma un problema che riguarda noi in prima persona e nei confronti del quale noi stessi dobbiamo essere attivi, forti del diritto di voto. Come conclude il magistrato, «Non c’è miglior linguaggio del messaggio elettorale».

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