Musica

#lyrics: Giorgio by Moroder

Ritorna dopo due settimane #lyrics con il secondo appuntamento della rubrica. Nell’articolo di apertura avevamo trattato il tema dell’omosessualità e dell’omofobia attraverso il testo di “We exist” degli Arcade Fire mentre oggi racconteremo Hans-Jörg, o meglio “Giovanni Giorgio”, Moroder attraverso un brano dei Daft Punk. “Giorgio by Moroder” è la terza traccia di “Random Access Memories”, l’ultimo album del duo francese uscito nel 2013. Il testo della suddetta canzone è un racconto della vita e dell’evoluzione musicale nata da Moroder, padre della musica dance fatta al sintetizzatore oltre che compositore, producer e disk jockey. A parlare, perchè la canzone è fatta di musica e parlato, è lui stesso.

Il racconto di Giorgio Moroder si divide in tre parti ben precise almeno in un primo tempo: il sogno di fare il musicista, i primi tempi da musicista e il primo album che ha avuto successo ovvero il punto d’inizio della sua scalata verso la celebrità. A queste tre parti corrispondono tre momenti ben precisi: la seconda metà degli anni ’50 e gli anni ’60, fine anni ’60 e quasi tutto il decennio successivo, fine anni ’70, precisamente dal 1977, fino ai ’90. A questi tre momenti, i Daft Punk hanno deciso di accompagnare l’utilizzo di tre diversi microfoni, come si può leggere in un’intervista che Moroder ha rilasciato a Wired nel 2014: per la prima parte è stato utilizzato un microfono anni ’60, per la seconda uno dei ’70 e infine uno moderno.

Nella prima sezione, Moroder racconta il suo inizio e di come, in piena adolescenza, si sia approcciato alla chitarra. È così che nasce in lui la voglia di diventare a tutti gli effetti un musicista nonostante non manchino affatto le difficoltà a causa dello studio e del fatto che abiti in una piccola città (Ortisei, in provincia di Bolzano). Senza contare la grande problematica di fare musica che non piaccia solo al produttore stesso, ma che intrighi anche un buon numero di persone in modo tale da avere dei fan, fattore necessario per raggiungere il successo. Le porte gli si iniziano a spalancare proprio quando termina la scuola e diventa un musicista a tutti gli effetti: da quel momento in poi può giocarsi le sue carte e avere delle possibilità (“well, now I may have a little bit of a chance“). Il suo sogno è fare musica, non solo suonarla attraverso una chitarra.
Subito dopo inizia a raccontare la sua prima parte di carriera. In Germania, alla fine degli anni ’60, ci sono già le discoteche e Moroder comincia a girarne tante cantandoci anche solo per mezz’ora (ha non più di otto canzoni nel repertorio). Spesso non ha neanche voglia poi di tornare a casa e dorme addirittura nella sua macchina. La stanchezza e il duro lavoro sono fondamentali per raggiungere lo scopo anche se in un primo momento non c’è un gran ritorno economico e il supporto per mandare avanti la propria attività è poco o manca del tutto. Infatti, Moroder ha sopportato questa situazione piuttosto precaria per circa due anni sopravvivendo ad un inizio ovviamente non semplice, come lo è per qualsiasi musicista (“that helped me for about almost two years to survive in the beginning“).
Giorgio Moroder, dopo questo periodo duro, pensa alla composizione di un album (“From here to eternity”) che riesca a raccogliere i suoni degli anni ’50, quelli del ’60 e del ’70 e ottenere il sound of the future (così lo definì Brian Eno e così lo rinominerà lo stesso Moroder). A questa idea, egli collega l’utilizzo del sintetizzatore, che per lui rappresenta l’altro suono del futuro. Inserisce il click del metronomo (anche nella canzone stessa) nella registrazione multitracce sincronizzandolo poi al Moog modular (uno dei primi sintetizzatori mai esistiti). È consapevole di aver creato il suono del futuro, ma non sa quale sarà l’impatto che avrà (e noi ci aggiungiamo che sarà devastante in quanto rivoluzionerà il campo della musica e nascerà, a tutti gli effetti con lui, il genere dance).
Infine si presenta: “My name is Giovanni Giorgio but everybody calls me Giorgio“. Da questo momento della canzone in poi, i Daft Punk fanno un lavoro eccezionale. Mettono su un’intera canzone sulla base dei suoni su cui Moroder ha lavorato per raggiungere il successo internazionale. Il sound rétro è perfetto per i nostalgici di una musica ormai passata che Bangalter e De Homem Christo hanno deciso di rispolverare per questo brano e anche un po’ per tutto l’album.
Ad un certo punto Moroder, però, interviene nuovamente e sottolinea che è necessario liberarsi dal concetto di armonia e di musica perfetta per essere capaci di fare qualsiasi cosa. Sottolinea anche che non c’è mai stato nessuno a dirgli cosa fare così come non c’è mai stata una concezione e uno studio anticipati della musica da produrre, bensì si è lavorato sull’ispirazione.
Intanto la canzone volge al termine e son passati nove minuti e cinque secondi senza che me ne accorgessi. Il sample non annoia seppur si ripeta per la gran parte della durata del brano, la voce di Moroder è perfettamente accoppiata alla musica. E se ancora non l’avete ascoltata, vi prego di farlo. Play.

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