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Neuralink: al via la sperimentazione umana

Il transumanista Max More in una celebre Lettera a Madre Natura (1999) lamenta che non siamo stati dotati di un libretto di istruzioni. Tuttavia, questo sembra essere vero solo per il passato. Oggi ciò che Madre Natura non ha voluto concederci lo si vuole conquistare con l’utilizzo della tecnica per ricreare il progetto del nostro corpo biologico. L’uomo si fa demiurgo: modella e plasma i corpi, che diventano dispositivi manovrabili e quando di un dispositivo si conosce esattamente il funzionamento, è possibile intervenire con efficacia per ripararne i guasti. 

Proprio a ciò punta Neuralink, la start-up americana fondata nel 2016 da Elon Musk e altri imprenditori che ha annunciato il 19 settembre scorso su X, la piattaforma di proprietà dello stesso Musk, ex Twitter, l’inizio del reclutamento dei primi volontari a cui implanterà un microchip neurale.

L’azienda statunitense che si occupa di interfacce cervello – computer (BCI) ha da poco ricevuto l’approvazione di un comitato di revisione indipendente e di un partner ospedaliero per avviare la sperimentazione del progetto PRIME Study (Precise Robotically Implanted Brain – Computer Interface Study), con l’obiettivo di permettere a soggetti affetti da paralisi di controllare dispositivi esterni utilizzando solo il pensiero.

Neuralink sta cercando pazienti di almeno ventidue anni colpiti da SLA (Sclerosi Laterale Mioatrofica) o con quadriplegia causata da lesioni al midollo spinale cervicale per poter procedere con l’impianto di un’interfaccia cervello – computer. Le BCI operano da connessione tra la mente umana e le macchine. Esse convertono i segnali elettrici analogici del nostro cervello in segnali digitali che i dispositivi riescono a decodificare. Si potrà così utilizzare il cursore o la tastiera del computer grazie allo scambio di informazioni tra il microchip impiantato nell’encefalo e la macchina. 

Musk tiene in mano il chip di Neuralink in una presentazione del 2020. Fotografia di: Neuralink/AFP/ The Guardian

Lo studio – che avrà una durata di circa sei anni – prevede l’utilizzo di un robot (R1) per impiantare un sensore (N1) nell’area dell’encefalo deputata all’intenzione dei movimenti. Una volta inserito, il microchip sarà in grado di registrare e trasmettere segnali cerebrali in modalità wireless a un’applicazione in grado di tradurli e interpretarli. Grazie all’utilizzo di N1 di Neuralink, i pazienti avranno l’opportunità di guadagnare una maggiore autonomia e di godere di nuove e più efficienti possibilità di iterazione e comunicazione con altre persone e dispositivi, permettendo quindi un netto miglioramento dello stile di vita dei volontari in questione.

Visual del chip N1 di Neuralink – fonte: Neuralink

Risulta, tuttavia, difficile non riflettere sulle implicazioni etiche di quest’operazione. Cominciando proprio dal trattamento riservato agli animali durante i precedenti test di laboratorio. Nonostante qualche successo, come la scimmia che ha giocato a Pong utilizzando solo il pensiero, è emerso che i ricercatori hanno ucciso oltre 1.500 animali (pecore, maiali, scimmie, topi e ratti) a causa della fretta con cui hanno condotto gli esperimenti. Alcuni dipendenti hanno dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che le pressioni imposte da Musk per accelerare lo sviluppo dei microchip avrebbero causato errori sconsiderati, come l’utilizzo di materiale chirurgico non adeguato o di chip di dimensioni sbagliate. Danni come questi non hanno fatto che aumentare le sofferenze degli animali e ciò ha solo compromesso il successo dei test, obbligando i ricercatori a ripeterli più volte e causando ulteriori sofferenze agli animali.

Le inchieste sui trattamenti animali sono solo una delle cause che hanno ritardato la tanto agognata approvazione della FDA (Food and Drug Administration), che è arrivata solo lo scorso maggio, nonostante Musk si fosse già detto pronto nel luglio 2019 a iniziare la sperimentazione umana a partire dall’anno seguente. L’agenzia aveva infatti espresso ragionevoli dubbi relativi a possibili rischi per la salute umana; tra questi: il pericolo di intossicazione derivante dall’utilizzo di batterie al litio nei dispositivi destinati all’impianto e le sfide legate alla rimozione dei chip senza danneggiare il tessuto cerebrale. 

Elon Musk – Getty Images

Tuttavia, occorre inserire questa innovazione in un quadro più ampio, che vede la vera e propria ibridazione tra uomo e macchina. Dietro gli obiettivi umanitari, o meglio transumanitari, c’è l’idea che l’uomo persegue da sempre: riuscire a superare il suo limite fatale. Si pensi, per esempio, a Frankenstein di Mary Shelly. L’autrice cominciò a scrivere il celebre romanzo proprio dopo la morte della figlia e, come a voler resuscitare la sua creatura, era solita chiamare il personaggio fittizio “il mio figlio mostruoso”.

Il confine tra il superamento dei limiti della dimensione biologica e la disumanizzazione dell’essere umano è estremamente sottile. É quindi indispensabile interrogarsi su quale deve essere il ruolo dell’intelligenza artificiale in un mondo che ancora vuole proporsi come umano.

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