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Che cos’è un genocidio?

Lo scorso ottobre l’organizzazione terroristica Hamas ha lanciato un’incursione di massa nel territorio israeliano, rapendo e uccidendo centinaia di persone. L’organizzazione in questione è esplicitamente antisemita, e insegna regolarmente ai ragazzi nei territori che occupa contenuti antisemiti. Quest’odio non riguarda solamente Israele in quanto stato, ma è rivolto a chi pratica la religione ebraica. Tale meccanismo di propaganda non è nuovo, ma ha degli indubbi precedenti storici, tra cui è possibile annoverare la vicenda de “I Protocolli dei Savi di Sion,”, una truffa realizzata dai servizi segreti degli zaristi finalizzata a convincere la popolazione di un complotto ebraico volto al raggiungimento del dominio mondiale. Agli attacchi di Hamas, Israele ha risposto con la più vasta operazione militare realizzata negli ultimi tempi, che ha prodotto migliaia di morti presso i civili. Sfruttando la situazione, i coloni (illegali) israeliani nella Cisgiordania (territorio nominalmente palestinese) hanno intrapreso una vasta opera di pulizia etnica, uccidendo decine di civili arabi, non solo palestinesi. Lo stesso stato di Israele è accusato di politiche fortemente discriminatorie e di operare da anni una politica che secondo alcuni rasenta le politiche genocide. La Palestina non è l’unico territorio che in queste settimane è oggetto di tensioni etniche: la Turchia ha intrapreso forti bombardamenti nella Siria settentrionale e l’Azerbajan ha costretto alla fuga virtualmente tutti gli abitanti armeni del Nagorno-Karabak, e non nasconde piani di invasione nei confronti dell’Armenia, rinominata “Azerbajan Occidentale”. La campagna militare russa in Ucraina viene tacciata di genocidio, sulla base delle affermazioni di Putin e dei dirigenti russi. Questi sono solo gli episodi più vicini a noi geograficamente, e forse neppure quelli di dimensione più vasta.

Controllo dei territori in Cisgiordania
Controllo dei territori in Cisgiordania
Fonte: https://www.internazionale.it/notizie/dav-waxman/2019/11/27/insediamenti-israeliani-cisgiordania

Praticamente tutti gli schieramenti attribuiscono a quello opposto (e non raramente con elementi per farlo) comportamenti genocidi verso un gruppo etnico/religioso, spesso ignorando l’ipocrisia delle proprie politiche. È stato citato appunto l’esempio della Cina, molto vicina ai palestinesi, ma estremamente repressiva verso i propri musulmani, soprattutto nello Xinjiang. I Paesi musulmani, di contro, sono stati accusati di doppiopesismo per la propria vicinanza ai palestinesi, ai musulmani in India (spesso discriminati) oppure per le vignette di Maometto in Occidente, mentre si sono dimostrati estremamente silenziosi proprio verso la Cina, che finanzia spesso e volentieri le élite locali.

Molti di questi esempi non comportano l’omicidio esplicito di massa nei confronti della popolazione, eppure vengono spesso accusati di genocidio, una parola molto utilizzata dal dibattito pubblico, soprattutto dopo la Shoah. Cosa vuol dire questa parola? Cosa rappresenta per noi da un punto di vista storico e politico?

Memoriale e museo del genocidio di Iğdır, complesso che dovrebbe ricordare il genocidio compiuto dagli Armeni nei confronti dei turchi (opera di revisionismo storico)

L’origine del termine

La nascita della parola “genocidio” si deve all’avvocato polacco Raphael Lemkin, il quale con questo termine denotava il deliberato e conscio obbiettivo di annientare un popolo, tutto ciò che lo rendeva unico. Pertanto, secondo Lemkin, non era necessario uccidere fisicamente le persone, bensì adottare tutte le politiche necessarie per eliminare tutti (o quantomeno i principali) elementi distintivi di una cultura, dalla lingua alla Storia. Spesso e volentieri, infatti, una delle principali tattiche genocide è eliminare il patrimonio storico-artistico-culturale del popolo da eliminare. Recentemente, ad esempio, l’Azerbajan ha intrapreso un’opera di revisionismo storico, dal rinominare i territori, distruggere tombe, al negare esplicitamente il genocidio armeno. La Turchia vicina adotta come politica ufficiale la negazione del genocidio armeno, e gli unici monumenti che trattano l’argomento sono per commemorare le violenze contro i turchi da parte degli armeni. Nel Paese “armeno” viene usato come insulto e molte delle politiche di pulizia etnica ai danni dei greci e dei curdi (ufficialmente “turchi di montagna” per la Turchia) si basano sui metodi operati durante il genocidio armeno. L’idea del genocidio venne a Lemkin proprio basandosi sullo sterminio operato verso gli armeni e le altre popolazioni da parte dell’Impero Ottomano, non per via dell’Olocausto, che sarebbe stato fra i primissimi a documentare e che li costò molti cari, essendo polacco ed ebreo. Ciò che causò all’avvocato la formulazione di questo concetto fu un evento di cronaca legato al genocidio degli armeni. Dopo la fine del bagno di sangue alcuni attivisti della Federazione Rivoluzionaria Armena (partito ancora esistente) si organizzarono nella cosiddetta “Operazione Nemesi” un’opera di assassini mirati verso i responsabili del massacro. Uno degli attivisti, Soghomon Tehlirian, uccise in Germania Mehmed Talat Pascià, il Ministro dell’Interno responsabile delle violenze. Tehlirian venne messo sotto processo ed assolto per momentanea infermità mentale; tuttavia, ciò che stupì Lemkin fu che l’uomo venne messo a processo in primo luogo. Per aver vendicato milioni di morti rischiava la prigione, mentre il carnefice di quelle morti passeggiava tranquillamente a Berlino. Questa logica può prestarsi a descrivere i meccanismi su cui si basa la concezione del genocidio: che i diritti umani e il diritto internazionale abbiano la precedenza su quello del singolo Stato. L’idea che lo stato sovrano debba rispondere unicamente a sé stesso è stata proprio oggetto di critiche non solo da Lemkin, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, dove i nazisti dovettero rispondere a Norimberga non di aver infranto(solo) delle leggi, ma di atti contro la decenza umana. Come disse lo stesso Lemkin: “La sovranità non si può concepire come il diritto di uccidere milioni di persone”.

Il problema del genocidio

Definire ed applicare la logica dei diritti umani e stabilire quando una politica è genocida diventa tuttavia problematico, visto l’atteggiamento opportunista che pare caratterizzare la politica internazionale, che spesso maschera sotto eufemismi la tutela dei propri interessi. Un esempio molto eclatante è l’espressione “pulizia etnica”: il significato è sovrapponibile a quello di genocidio, con la differenza che nella prima agli abitanti viene concesso il tempo di scappare – al fine di occupare i loro territori – come se fosse un’attenuante. Inoltre, spesso i regimi autoritari sono subdoli ed hanno più obbiettivi quando reprimono il dissenso: la repressione sovietica è un genocidio o un democidio? (Omicidio di massa della popolazione ndr) Eliminare gli aspetti più retrogradi di una cultura è etico o genocida? Insomma, per gli accademici la risposta non è così immediata. Ciò che è sicuro è che perdersi in speculazioni intellettuali su questi cavilli lessicali ha una relativa utilità, e che l’omicidio di massa o gli abusi dei diritti umani costituiscono sempre motivo di allarme, contro cui la condanna si rivela lo strumento deterrente e preventivo più efficace.

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