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#INDIE 19 – LAVORARE…MANCA

Di Elisa Enrile e Giorgia Ghersi

 

Il tema del lavoro e della disoccupazione è al giorno d’oggi sulla bocca di tutti, in tv, sui giornali: preoccupa gli studenti quando si trovano davanti alla scelta del percorso universitario, preoccupa il padre di famiglia che deve garantire un futuro ai figli, preoccupa tutti coloro che, spinti da aspettative per una vita migliore, sono disposti a lasciare casa e familiari. Portato alle estreme conseguenze e analizzato da due prospettive molto diverse, l’argomento è stato affrontato nelle due pellicole proiettate durante la terza serata di Indie: La Jaula de Oro (La gabbia dorata), diretto dal messicano Diego Quemada-Diez, e Arancia e martello, scritto, diretto e interpretato da Diego Bianchi.

 

La jaula de Oro racconta la storia di tre adolescenti guatemaltechi che attraversano il Messico con l’obiettivo di raggiungere gli Stati Uniti d’America

Juan, Samuel e Sara, che finge di essere un ragazzo, abbandonano la loro terra con il sogno di una vita migliore negli Stati Uniti. Una volta superato il confine con il Messico si aggiunge al gruppo Chauk, un giovane indio che non parla spagnolo, ma riesce ad instaurare un bel rapporto con Sara, mentre è inizialmente osteggiato dai due ragazzi. Dopo essere stati rimpatriati la prima volta, Samuel rinuncia al progetto e saluta gli amici che al contrario decidono di insistere nel tentativo. Il viaggio prosegue tra continui pericoli fino a quando Sara viene rapita e inserita in un giro di prostituzione lasciando soli Juan e Chauck, costretti a badare l’uno all’altro. Quando i due giovani mettono piede finalmente in territorio statunitense, e per loro sembra avvicinarsi il lieto fine, Chauck viene ucciso da un cecchino di guardia alla frontiera. Solo Juan riuscirà a portare a termine l’obiettivo iniziale, costruendosi una nuova vita negli USA come operaio in un macello.

Riflettendo sul concetto di frontiera e speranza, La jaula de oro più che un film sul lavoro è un film sulla dignità, sulla volontà di rivendicare il proprio posto nel mondo, il proprio diritto a vivere su questa terra come un essere umano, anche a costo di mettere a rischio così tante volte la vita.

Un film che difficilmente lascia gli spettatori indifferenti, adatto ad essere visto ogni qual volta si voglia far crescere il livello di consapevolezza su cosa stia succedendo nel mondo, per esempio in America Latina.

 

Completamente diverso è l’approccio al tema di Guido Bianchi: in questa pellicola è l’ironia la chiave di lettura. Arance e martello si apre “il giorno dell’estate più calda degli ultimi 150 anni dell’Italia unita”; mentre un gruppo di attivisti della sezione del Pd di via Orvieto, nel quartiere San Giovanni a Roma, tenta di raccogliere dieci milioni di firme per far dimettere Silvio Berlusconi, i commercianti sono in fermento per la possibile chiusura del mercato rionale e un giornalista sta girando un documentario sulla vita del quartiere. Quando arriva la notizia che l’amministrazione locale vuole chiudere il mercato, i commercianti non hanno nessun’altra possibilità se non chiedere appoggio agli esponenti della sezione che poco prima li avevano tanto infastiditi con il loro banchetto. Mettere d’accordo gli interessi di tutti non è semplice: tra consultazioni, voti e assemblee l’unico risultato che si riesce ad ottenere è una comica e maldestra occupazione della sede del Pd che si conclude con un incendio e tante manganellate. Come se non bastasse la telecamera si guasta durante la colluttazione perdendo l’intera registrazione.

Partendo dal piccolo schermo il rischio era quello di creare un film “televisivo”, ma Arance e martello è una vera sorpresa e Guido Bianchi non si fa spaventare dalla prima prova registica, benché si tratti di una critica nemmeno tanto tenera al Pd.

 

 

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