Musica

Il pop di Laura Pausini, una barriera di difesa per l’italiano nel mondo

Laura Pausini è ad oggi una delle icone dell’italiano in musica in tutto il mondo. Diversi si sono interrogati sulle ragioni di un successo planetario così vasto, senza dubbio imputabile al carattere melodico dei suoi brani, alla sua voce e alle diverse traduzioni in lingue romanze dei suoi testi (spagnolo, francese, portoghese), ma le ragioni di questa notorietà sono anche di carattere linguistico.

L’italiano in musica segue una precisa grammatica compositiva piuttosto condivisa da tutte le epoche storiche e presente in quasi tutte le forme testuali per musica che si sono avvicendate nella nostra tradizione. Nella storia della letteratura italiana le prime forme di contaminazione tra linguaggio verbale e linguaggio musicale si inseriscono nel profulvio di produzione sacra e religiosa, ma è nel Quattrocento che si sviluppano forme metriche che nascono dalla mutua interazione tra parole e musica come le barzellette, le frottole o, successivamente, i madrigali. Sarà proprio dai madrigali cinquecenteschi che si svilupperà una fervida tradizione di testi per musica che sfocerà nella nascita del melodramma seicentesco, genere paraletterario che si fonda proprio sull’interazione dei due linguaggi (la parola melodramma etimologicamente rimanda ad un’azione, drama, messa in musica e in canto, melo).

Studi linguistici recenti fanno risalire proprio al melodramma alcune caratteristiche dell’italiano in musica che restano ancora invariate nel nostro secolo, soprattutto all’interno del genere pop, roccaforte linguistica più tradizionale della nostra musica. A poco o nulla sono servite le rivoluzioni linguistiche dei cantautori o del post-modernismo degli anni ’90: l’italiano del melodramma resta ancora saldo oggi e, anzi, è l’italiano in musica più diffuso in tutto il mondo, contrariamente a quanto avviene per la canzone d’autore (che, forse per la sua complessità, è diffusa soltanto all’interno dei confini nazionali). Il pop di Laura Pausini è rimasto sempre uguale a sé stesso dagli esordi (La solitudine è del 1993) fino ad oggi (nel 2018 è uscito Non è detto, ultimo album di inediti): uno spoglio sui brani di tutta la sua carriera può confermare quanto prima affermato.

Giuseppe Antonelli, Lorenzo Coveri e Vittorio Coletti (tra gli altri) hanno studiato le caratteristiche del canzonettese più classico che, nato con il melodramma, resta più o meno invariato fino al pop contemporaneo: un rispetto quasi sacrale per la rima baciata («tradita da una storia finita / e di fronte a te l’ennesima salita», Ascolta il tuo cuore, 1996; «e cosa mi importa sbatterti in faccia il dolore / non c’era posto migliore», Frasi a metà, 2018; «non li ho saputi raccontare / avevo l’indirizzo nuovo e un posto per scappare», Non è detto, 2018 – l’infinito è una delle soluzioni più semplici preferite in clausola), anche se in canzone vengono considerate rime anche quelle imperfette come le consonanze o le assonanze («ma arrivi tu / che parli piano / e chiedi scusa se ci assomigliamo / arrivi tu / da che pianeta / occhi sereni, anima complicata», Simili, 2015; «mi tengo molto più di quel che perdo / io lascio andare te», non il ricordo, Mi tengo, 2011). Frequentissime le parole zeppe, ossia superflue, quasi sempre monosillabi, che hanno la funzione di riempire la nota della melodia musicale, sia in corpo di testo che in clausola («perché, sai / due innamorati come noi», Due innamorati come noi, 1996; «il tempo, sai / separa poi / il vetro dai diamanti, noi», Più di ieri che, 2008 – in questi tre versi troviamo anche quello che in poesia sarebbe un enjambement molto forte, che divide il verbo separa dall’oggetto diretto vetro, che qui però non ha alcun valore di spezzatura); i monosillabi che si attestano a fine verso sono quasi sempre pronomi personali («dentro me / fino a che / siamo al limite del mondo, io e te», Due innamorati come noi, 1996; «poi solo tu, soltanto tu / soltanto tu, come sei tu», Fantastico, 2018) o aggettivi possessivi, che spesso garantiscono l’inversione più caratteristica del melodramma, quella del tipo occhi miei/tuoi («adesso che da un’ora ho un anno di più / anni miei, gli anni miei», Anni miei, 1994; «Tu dimmi se ormai qualcosa di noi / c’è ancora dentro gli occhi tuoi», E ritorno da te, 2001). Molto spesso i versi si concludono con l’accento tonico in ultima sede, si spiega così l’abbondanza di parole tronche o di monosillabi in fine verso: l’italiano, che per natura ha poche parole tronche, deve ricorrere spesso alle forme tronche del futuro semplice o del passato remoto («io ti porterò / dentro le mie tasche ovunque andrai / come una moneta, un amuleto / che tra le mie mani cullerò», Un’emergenza d’amore, 1996 – il dittongo ai, così come ei nel condizionale, è considerato in musica come tronca; «chiedilo al cielo, forse ce lo dirà / cosa succede contro la volontà», Chiedilo al cielo, 2015), a monosillabi (come quelli già messi in evidenza; spesso tra l’altro rimano parole tronche con monosillabi: «alzando le mie braccia verso il cielo / come simbolo di libertà / quel giudizio naturale che ogni uomo ha», Mille braccia) oppure a parole piane alle quali si sposta l’accento con una diastole, facendolo ricadere nell’ultima sede («anche d’estate nevicà / se la tua mente immaginà / se la tua casa è un alberò / di gomma piuma e canapà», Mille braccia, 2008; «che sei liberò / nelle tue scarpe fradicè», Benvenuto, 2011); un fenomeno come questo è necessario perché le frasi musicali spesso terminano con l’accento sull’ultima nota. Lingua e musica risultano così strettamente legate e vincolate tra loro.

Il pop di Laura Pausini funziona nel mondo proprio grazie alla sua ripetitività lessicale e linguistica, alla forte orecchiabilità e alla diffusa semplicità: anche chi non capisce l’italiano, può tranquillamente cantare i successi della Laura nazionale. Così l’italiano “semplice e semplificato” del pop, che getta le sue radici nelle antiche forme di iterazione tra poesia e musica (soprattutto nel melodramma), è oggi una vera e propria barriera di difesa dell’italiano nel mondo. Certo, la nostra lingua è ben più complessa, ed è bene proteggere anche tutta quella canzone (oltre che, ovviamente, la letteratura) che della lingua non offre solo una versione stereotipata, ma ne incarna la varietà strutturale e la ricchezza linguistica, lessicale e semantica.

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