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Il dissoluto impunito, ossia il “Don Giovanni”

Cosa si può dire di un’opera celebre come il Don Giovanni? Tutti gli appassionati del genere dovrebbero già conoscere la storia di quest’opera ma, per chi non la conoscesse, il Don Giovanni narra delle avventure del nobile libertino alla continua ricerca di donne da sedurre con l’aiuto del suo servo Leporello. Detto in questo modo sembra un’opera divertente, quasi buffa; però la realtà è un’altra, infatti all’interno di queste vicende ci sono uno stupro e un assassinio, azioni tutt’altro che comiche.

Partiamo dalla regia di Robert Carsen, che ha interpretato quest’opera in un modo unico e originale. Prima di tutto ho trovato geniale la rivisitazione della figura stessa di Don Giovanni: lui non attua una semplice seduzione fine a se stessa, bensì è consapevole di come la vita stessa sia un volo effimero dal quale assaporare tutti i piaceri terreni. Proprio per questo motivo, lo spettatore si immedesima, in parte, nel nobile libertino, guardandolo come un uomo sfortunato nel nascere in un mondo diverso da come se lo immaginava e, infatti, anche la scena iniziale, che dovrebbe rappresentare uno stupro, è piuttosto ambigua, come se Donna Anna l’avesse in parte voluto.
La scenografia è molto essenziale, ma allo stesso tempo molto simbolica, specialmente la parete a specchio e la replicazione della Scala stessa, come se volesse dirci: chi è Don Giovanni? E’ lui il seduttore o lo siamo noi spettatori? O è l’opera stessa ad esserlo? Tutto questo rende omaggio al mito del nobile seduttore e alla maestosità di cui la Scala di Milano è simbolo. I costumi sono affascinanti – attirano l’occhio dello spettatore come un fotografo ad una sfilata di Armani o Prada – esprimono un’eleganza fine, ma allo stesso tempo peccaminosa. Infatti, se si attribuisse un colore all’opera e al personaggio quello è il rosso, poiché racchiude in sé la passione, il peccato e la lussuria. E’ il colore dell’ambiguità.

Tra le cantanti si è distinta molto Donna Anna (Hanna Elisabeth Müller) con la sua interpretazione magnifica, sia nel recitato che nelle arie, eseguite da sola e con Don Ottavio (Bernard Richter); inoltre i costumi, sapientemente scelti da Brigitte Reiffenstuel, la rendono una vera diva sul palcoscenico. Donna Elvira (Anett Fritsch) invece è portata ai limiti dell’isteria, un’interpretazione un po’ fuori dalle righe che ha danneggiato in parte anche le parti cantate. Giulia Semenzato ha dato vita ad una Zerlina molto vitale e genuina, sia nel recitato che nel cantato.
Nel versante maschile invece è da lodare il trio Thomas Hampson, Luca Pisaroni e Bernard Richt, che interpretano rispettivamente Don Giovanni, Leporello e Don Ottavio. Prima di tutti Hampson, baritono di fama mondiale al suo debutto operistico alla Scala, non ha affatto deluso le aspettative; riesce a dar vita ad un personaggio ironico e spigliato, dotato di un grande carisma che si riflette nei recitativi e nei cantati, con qualche sbavatura nel Finch’han dal vino. Perciò, nel suo caso, si può solo dire che è stata una scelta azzeccatissima: Hampson fa del Don Giovanni uno spensierato dandy che sembra uscire da un romanzo di Oscar Wilde.
Luca Pisaroni è una voce nuova, ma che trasmette fin da subito la sicurezza di un cantante che conosce a fondo l’opera mozartiana. Il suo Leporello è ricco di ironia e disinvoltura, lo si può notare specialmente nell’aria del catalogo in cui ogni fraseggio è ben curato e mantiene un dinamismo che attira lo spettatore.
Bernard Richt invece ci dona un personaggio che unisce la giusta drammaticità ad una pienezza vocale che ha riempito tutto quanto il teatro, penetrando a fondo nell’empatia di chi l’ha ascoltato, perciò complimenti al cantante per la sua eccellente interpretazione.

Una delle pecche da rivelare appartiene alla dizione del Commendatore (Tomasz Konieczny) la cui pronuncia “germanica” ha leggermente storpiato delle vocali, difetto che viene comunque coperto dalla sua potenza vocale, specialmente nel finale. L’altra pecca viene dal direttore d’orchestra Paavo Järvi, che in certi punti è riuscito a dare la giusta intensità alla scena, ma in altri, in particolare le arie con più personaggi, ha creato una leggera aritmia tra le voci e l’orchestra, in disaccordo con la direzione della prima di quest’opera, dove a librare la bacchetta era il maestro Daniel Barenboim.
Nel complesso, l’opera è ben riuscita, soprattutto nel connubio tra regia e interpretazione dei cantanti. Colpiscono molto certe scelte della regia, che punta all’inclusione dello spettatore nell’opera stessa: Carsen vuole farci vivere nel mondo del Don Giovanni, in cui sembra che le donne vogliano avere una posizione dominante sul genere maschile e che il nostro nobile libertino sia quasi uno sfortunato seduttore che rimane il dissoluto impunito. Il teatro pieno e il coinvolgimento del pubblico (a tratti leggermente invasivo con gli applausi dopo le arie…) mostrano come l’arte, in questo caso l’opera, possa ancora emozionare un mondo moderno.

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