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Il Nabucco, quando il Coro diventa protagonista

Il Nabucco di Giuseppe Verdi torna alla Scala di Milano nell’allestimento del regista Daniele Abbado, le scene e i costumi di Alison Chitty, le luci di Alessandro Carletti, i video di Luca Scarzella ed i movimenti coreografici di Simona Bucci. Troviamo all’inizio dell’opera dei riferimenti all’Olocausto: la scenografia ricostruisce attraverso grandi lapidi squadrate le forme di un cimitero ebraico ispirandosi anche al monumento alla Shoah di Berlino, inoltre i costumi dei personaggi riprendono molto quelli del film di Steven Spielberg Schindler’s List. Il regista, in contrasto con la scenografia, ricrea un’atmosfera atemporale che punta alla rappresentazione del popolo ebraico come archetipo degli oppressi.

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Il protagonista, Nabucco, è interpretato da Leo Nucci, che nella prima parte è sembrato molto sottotono, d’altronde possono verificarsi cedimenti vocali d’estensione e di potenza dovuti all’età. Ma il baritono recupera subito nella seconda parte, scalda la voce e si riprende tutto il palcoscenico grazie anche alla sua grande capacità recitativa, perciò direi che la sua performance è stata buona, anche se ha dovuto recuperare le ricadute di voce iniziali.

Le altre due presenze maschili Zaccaria e Ismaele, rispettivamente interpretati da Mikhail Petrenko e Stefano La Colla, hanno centrato le giuste tonalità, ma Ismaele a differenza di Zaccaria ha una voce molto piena ed energica, cosa che manca al capo degli ebrei, specialmente sulle tonalità basse che mancano di energia. Degna di nota Martina Serafin (Abigaille) che possiede un’energia e un’ampiezza vocale impressionante, l’unica pecca della sua interpretazione è dovuta più alla scelta del direttore d’orchestra che sforza la sua voce con virtuosismi superflui. Il resto dei personaggi hanno compiuto una performance nella media, che viene ben assorbita nell’opera e nel suo snodo narrativo.

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L’orchestra, diretta da Nello Santi, riesce a donare una forte compattezza allo spartito, senza cadere in sbavature o esagerazioni. In molti hanno criticato questa scelta, perché l’equilibrio che il direttore ha dato all’opera nasconde i toni originali del primo Verdi, influenzato dalle opere di Rossini che hanno un tono più leggero e scanzonato. Non sono d’accordo, trovo che la scelta di Nello Santi abbia dato ancora più risalto all’opera, donandogli un’aria molto solenne, ma danneggiando la parte recitata che risulta molto pesante, sebbene i movimenti coreografici degli attori sono eseguiti ad arte. Un altro difetto dell’opera è l’identificazione dei personaggi sul palcoscenico, non si riescono a distinguere bene il popolo ebraico e i soldati babilonesi. Questa scelta può essere interpretata come mancanza del costumista o come scelta simbolica per rappresentare l’uguaglianza degli uomini davanti a Dio.

Scala: piace e fa soldout il Nabucco della tradizione

Nel Nabucco il vero protagonista è il Coro del Teatro alla Scala diretto dal maestro Bruno Casoni. Ho sempre pensato a quest’opera come concetto d’insieme: il centro del tema non è Nabucco o Abigaille, è il popolo, babilonese o ebreo che sia. Per tutta la durata dello spettacolo il Coro ha donato allo spettatore le emozioni più pure, è riuscito ad esprimere al meglio il concetto del popolo oppresso che rimpiange la patria perduta. L’insieme delle voci è così sublime che forma un tutt’uno con la musica di Verdi, ogni nota si unisce alle corde vocali dei coristi nel famosissimo Va’ Pensiero sprigionando tutta la sua energia. Nel complesso Nello Santi è riuscito a rendere coinvolgente un’opera che apparentemente può sembrare pesante da seguire, le interpretazioni dei cantanti sono state molto genuine, grazie anche alla loro forte gestualità. Daniele Abbado è riuscito a coniugare l’universalità del suo messaggio con la musica di Giuseppe Verdi, un grande esempio di come l’opera, sebbene reputata da molti come intrattenimento datato, riesce a rendere attuali temi come l’esilio e l’oppressione dei popoli.

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