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#ijf16 – Il triangolo vizioso di Iyad El-Baghdadi

 

Il Festival del Giornalismo di Perugia non è solo un’occasione per mettere in contatto giornalisti navigati e giovani aspiranti alla professione; non si fa solo un paragone tra alcune tecniche di indagine giornalistica e i nuovi media. Si dimostra anche come il giornalismo, in questo caso politico e internazionale, realizzato proprio grazie ai nuovi media, possa aiutare nello sviluppo di nuove teorie e nell’analisi degli schemi di comportamento. Cercare di comprendere il passato in modo da analizzare il presente e, se si vuole, provare a prevedere il futuro.

Particolarmente interessante in questo senso è l’intervento di Iyad El-Baghdadi, imprenditore di origine palestinese, nato e cresciuto negli Emirati Arabi Uniti, attivista della Primavera Araba in Norvegia (era stato espulso dagli EAU proprio all’inizio degli eventi di contestazione) tramite la piattaforma Twitter. La sua attività politica, nonché la conoscenza approfondita delle dinamiche che definiscono il Medio Oriente, gli hanno permesso di scrivere un libro sulla sua nuova teoria interpretativa sull’evoluzione interna dei regimi mediorientali.

In Sala dei Notari a Perugia, el-Baghdadi introduce, racconta e spiega la sua militanza e le teorie contenute nel libro.

Nel 2011, in Tunisia ebbe inizio un’ondata di rivolte popolari che hanno portato alla fine di numerosi regimi che si erano consolidati in Nord Africa e in Medio Oriente negli anni precedenti. La diffusione delle contestazioni ad altri paesi ha dato vita ad uno schema, che ha permesso di vedere per contrasto quali dinamiche di potere, e mantenimento dello stesso, si erano consolidate nella regione.

L’intervento gira intorno alla nozione di vicious triangle, triangolo vizioso, che secondo El-Baghdadi rappresenta chiaramente la situazione attuale degli Stati mediorientali. Ai vertici si trovano i terroristi, i tiranni e gli interventi stranieri: una comunicazione e un’interazione costante che porta al rafforzamento delle posizioni reciproche. I terroristi trovano una giustificazione in opposizione agli interventi stranieri e alla tirannia; entrambi elementi di oppressione della società. Gli altri paesi però difendono il proprio intervento proprio per l’azione destabilizzante dei terroristi e dei tiranni, i quali alterano gli equilibri della politica internazionale. A loro volta, i tiranni usano alternativamente il terrorismo e l’interventismo come base per consolidare la propria posizione di potere, chiudendo così la trappola moderna.

Affrontare il problema mediorientale deve essere fatto con la più grande cura di questi tre aspetti. Nel momento in cui un attore istituzionale qualunque decide di risolvere solo uno dei tre problemi senza preoccuparsi degli altri due, inavvertitamente si trova a rinforzarli.

«The whole triangle has to go» precisa el-Baghdadi.

Il consolidamento dell’interazione dei tre vertici è avvenuto verso la fine degli anni ’90, è però diventato un modello paradigmatico soprattutto dopo gli attacchi terroristici del 2001. La Primavera Araba ha invece rovesciato questo sistema portando il malcontento popolare ad esprimersi direttamente contro il governo. In precedenza i regimi avevano applicato una strategia che indirizzava la rabbia verso l’Occidente, il quale dunque, veniva identificato come responsabile unico dei mali interni delle società; tuttavia, nei loro rapporti con l’Occidente, gli stessi regimi pretendevano la non-ingerenza interna (banalmente non volevano essere disturbati in casa propria) perché si dichiaravano già impegnati nel tenere a bada il crescente terrorismo interno.

Il rovesciamento del 2011 è avvenuto in un modo nuovo. Non si avvaleva delle strade già battute da organizzazioni come al-Qaida, il popolo si rivolgeva direttamente al proprio governo. La gente scendeva per strada, nelle piazze in modo più o meno pacifico, per mandare un chiaro e diretto messaggio ai dirigenti.

Nel 2013, però le cose sono ulteriormente cambiate. Per cominciare, c’è stata una recrudescenza della violenza da parte dei regimi nei confronti della popolazione, in particolare in Siria e in Egitto.  In seguito, è diventato evidente che il triangolo vizioso non poteva essere spezzato con facilità e i tre vertici sono entrati in un nuovo ciclo di relazioni interne. Questo ciclo è ancora in atto. Il triangolo non è stato interrotto o aperto in alcun modo. Un soluzione possibile, o almeno che sembrava essere possibile, per gli attori principali della politica internazionale era di indirizzare le società verso uno status quo ante, più o meno ristabilire l’equilibrio venuto meno con le Primavere.

Questo però non è più possibile, le società arabe sono cambiate. I regimi ancora oggi solidi, non sono più tanto stabili quanto lo erano nel 2011: esempi lampanti sono l’Arabia Saudita e l’Egitto. Il regno saudita perché riposa su un’economia, quella del petrolio, sempre più precaria (nessuno si aspettava un crollo del prezzo del barile) che non permette al re di silenziare in qualche modo le proteste sociali elargendo benessere dalle proprie tasche. «It’s going to be an interesting decade for Saudi Arabia», sarà una decade interessante per l’Arabia Saudita, avverte el-Baghdadi. L’Egitto invece, a cinque anni dalla Rivoluzione di Piazza Tahrir, non ha ancora un governo stabile che risponda alle richieste che proprio nel 2011 erano state sollevate. «If the Syrian refugees crisis has generated the situation we are experiencing right now, just imagine what would happen with Egypt», se la crisi dei rifugiati siriana ha portato alla situazione che stiamo vivendo, provate a immaginare cosa avverrebbe con l’Egitto.

La questione, però, non è solo politica, è diventata anche sociale. I giovani sono molto più istruiti che in precedenza e, soprattutto, sono molto più connessi tra di loro. L’incidenza delle iscrizioni alle piattaforme sociali è altissima. Come se la manifestazione di piazza (ovviamente vietata all’interno dei regimi rigidi e comunque osteggiata nei regimi in transizione) si fosse trasferita su internet.

Si pensa dunque che questo sia il campanello d’allarme, quello che dovrebbe poter portare i governi non tirannici ad apportare delle modifiche all’ordinamento per provare a rompere il triangolo dall’interno.

Alla luce dei fatti odierni, la soluzione non sembra vicina e sicuramente la soluzione non proviene dall’esterno visto che l’interventismo è parte del problema. Non si deve cercare di riportare la situazione ad uno schema precedente e per questo già conosciuto. Conclude dicendo che la stabilità passa attraverso il rafforzamento della società araba e nell’indebolimento dei regimi all’interno dei quali questa è rinchiusa. Intrigati dalla sua analisi, riusciamo a porgli qualche domanda di approfondimento su quanto ha detto della situazione egiziana e la ricerca della stabilità. Segue l’intervista.

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