Università

Generazioni a confronto: madre e figlia raccontano l’esperienza a Pavia

di Giulia Avanza e Marina Notarnicola

 

La dottoressa Alba Salvaneschi, ex studentessa dell’Università di Pavia, laureata in Medicina nel 1984 e specializzata in Psichiatria, e la figlia Chiara Fornasari, iscritta al secondo anno presso la facoltà di Medicina, si confrontano sul mondo universitario, le scelte e le prospettive di ieri e di oggi.

Come avete scelto di iscrivervi a Medicina?

Madre – Erano anni particolari e vivaci soprattutto sotto il profilo socio-politico. La facoltà l’ho scelta in 30 secondi: fino a novembre, quando ci iscrivevamo, avevo scelto l’indirizzo di Lingue. Ho questo ricordo nitido: in fila in segreteria ho cambiato idea all’improvviso, seguendo l’istinto che mi ha sempre tutelato e aiutato e ho cambiato sportello. Ecco: questo è stato, senza dubbio una situazione molto diversa rispetto a voi studenti di oggi, che dovete pensare mesi e mesi prima a che facoltà iscrivervi, avete molte pressioni e non potete affidarvi all’istinto.

Figlia – Avendo due genitori medici ho sempre pensato di fare altro. Sentendone parlare in casa però, visto il fascino della materia, ho scelto di iscrivermi anch’io a Medicina. A livello conscio posso dunque dire di non essere stata condizionata dai miei genitori, che anzi erano un po’ contrari, ma essendo cresciuta in una famiglia di medici credo che inconsciamente la passione sia nata da quello.

Cosa ne pensate del test d’ammissione obbligatorio per alcune facoltà?

M – Il mio è stato l’anno con maggior frequenza, da quegli anni si è posto il problema del rapporto tra numero di medici laureati e numero di cittadini. Tuttavia ai miei tempi nessuno dei laureati in Medicina ha avuto problemi di disoccupazione. Non ricordo esattamente in quanti ci fossimo iscritti, ma la maggior parte di noi è riuscita a laurearsi. Il mio rimpianto per voi è che non possiate vivere una bella estate per via dei test di ammissione.

F – Secondo me il test non è un buon modo per testare la preparazione degli studenti, mette molta agitazione sapere che tutto è condizionato da un’unica prova. Ritengo che in assenza di un test ci sarebbe comunque una scrematura dopo i primi esami.

Come sono cambiate la facoltà e il modo di studiare negli ultimi 30 anni?

M – La si viveva meglio: c’erano meno pressioni di tipo emotivo e sociale. Questo è un mestiere che si sceglie per passione e purtroppo oggi siete meno fortunati perché con la crisi, le rette che aumentano vertiginosamente e la selezione potete scegliere meno liberamente.
Si studiava molto in gruppo e l’organizzazione degli esami era meno capillare, avevamo una sessione all’anno e il rapporto con i libri, di amore e odio, durava mesi e mesi.

F – Ora si tende a dividere gli esami più corposi, per garantire una migliore preparazione e semplificare lo studio. Noi studiamo principalmente da soli, io stessa preferisco dare una prima lettura individualmente, cosa che mi richiede molto tempo, però anche solo leggere per conto proprio ma in compagnia di amici mi facilita le cose; frequento molto le aule studio e le biblioteche, per avere uno stimolo a studiare che se fossi in casa non avrei.

E il contorno com’è cambiato? Il tempo libero, le attività extra-universitarie, la città… ?

M – Nel centro di Pavia c’erano più possibilità di ritrovo, più locali rispetto ad ora. Si viveva di più l’ambiente universitario, si tendeva molto a stare insieme e ricordo i miei anni universitari come anni di divertimento. Ho avuto una fortuna molto grande: sono pavese e volevo scappare a Padova a studiare, ma i miei genitori me l’hanno impedito e per questo non li ringrazierò mai abbastanza. Tuttavia, dal momento che si sono trasferiti appena mi sono iscritta, ho potuto vivere la città da universitaria, abitando da sola e frequentando gli spazi comuni, venendo a contatto più di altri con gli studenti di fuori, che erano e sono la spina dorsale dell’Università.

F – Io ho avuto un’esperienza diversa: vivo con la mia famiglia e ammetto che non mi dispiacerebbe abitare da sola ma non mi sposto anche per una questione di comodità.

Le prospettive dopo la Laurea come sono?

M – Io lavoro con giovani specializzandi e noto in voi ragazzi un maggiore individualismo. In ospedale però è fondamentale il lavoro di équipe, l’io deve cedere il posto al noi. Dirò una cosa che potrà sembrare un po’ scandalosa: preferisco lavorare con persone che non sono eccelse nella votazione ma che hanno vissuto con serenità i loro anni di studio perché sono coloro che poi diventano i migliori medici. Passione e forza di volontà sono i fattori determinanti e anche se la votazione non è massima c’è da considerare l’attitudine della persona nel mondo del lavoro. Bisogna coltivare di più il lato umano dello studente e non schiacciare i ragazzi con un metro competitivo di meritocrazia, concetto che in Italia viene misinterpretato.

F – Secondo me una volta passato il test e conquistato il posto, ci si sente quasi costretti alla competizione. E’ vero che c’è più individualismo, questo perché ora che la specialità è retribuita ed i posti sono in minor numero, uno dei criteri di concorso per potervi accedere è la media dei voti.

M – Per concludere, voglio dire che noi pavesi siamo molto fortunati, la nostra università è un luogo saturo di storia in cui possiamo ritrovare le nostre radici e uno stimolo per il futuro. Passeggiare in quei luoghi in momenti di sconforto mi comunica un grande senso di quiete e di forza allo stesso tempo.

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