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Finché c’è prosecco c’è speranza

Finché c’è prosecco c’è speranza è un film dedicato a un territorio, alle terre del prosecco, ai paesaggi del Veneto, poi, in seconda battuta, è anche un noir. La componente giallistica, infatti, è pesantemente annebbiata dal gusto paesaggistico che permea la pellicola e fa pensare più al giallo televisivo – o allo spot promozionale – che al cinema.

Quest’ultimo aspetto, però, è dovuto soprattutto all’origine indipendente del film, nato, con pochi mezzi, da una produzione veneta che ha voluto valorizzare i territori d’origine tramite l’adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore veneziano Fulvio Ervas, creatore dell’ispettore Stucky, da poco promosso e ancora lontano dalla maturità professionale. La vicenda verte attorno all’apparente suicidio del conte Desiderio Ancillotto, produttore di prosecco interpretato, a sorpresa, dal croato Rade Šerbedžija, attore di caratura internazionale e sicuro fiore all’occhiello di questa piccola produzione. Il vero punto di forza di questa pellicola, dunque, è proprio il parco attoriale, che, assieme a un po’ di umorismo, riesce a far dimenticare, in parte, la poca fantasia impiegata nel cucire una trama che appare semplice, attempata, scontata al punto da portarci allo svelamento del mistero senza alcuna sorpresa, senza una vera indagine; i sospettati in gioco non sono nemmeno pochi, ma arrivare al colpevole è solo una questione di tempo, più che di vere azioni o intuizioni investigative: sembra che l’atmosfera sonnacchiosa delle belle colline trevigiane riesca a contagiare sia i buoni che i cattivi, e che tutta la storia sia solo un contenitore per riprese aeree di vitigni e caseggiati.

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Certamente, però, il film non è bocciato, bensì va premiato per le sue buone idee e ambizioni coraggiose, lasciando, tuttavia, l’amaro in bocca per le occasioni sprecate a livello di scrittura, sia per la struttura portante che per certi dialoghi: è forte la differenza qualitativa tra le sottotrame umoristiche, ben curate, e la trama principale, che spesso si affida ai soliloqui un po’ ripetitivi di Isacco Pitusso, il matto del paese, interpretato da Teco Celio, così inferiori ai dialoghi che coinvolgono il conte, l’ispettore o lo zio persiano, interpretato da Babak Karimi.

Finché c’è prosecco c’è speranza è un film che non riesce a fare breccia nel pubblico giovane, ma è indicato per le generazioni più avanti con l’età, certo più pazienti e tradizionaliste rispetto alle attuali che, anche a livello attoriale, trovano pochi punti di riferimento: forse la sola – e brava – Silvia D’Amico riesce ad abbassare la media d’età di un film che di giovane ha soltanto il regista, Antonio Padovan, che da anni lavora negli Stati Uniti e che per gli Stati Uniti ha pensato questo film, un grande spot, a tratti frizzante, per una terra che merita rispetto sia storico che ecologico.

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Una buona opera prima, dunque, ma sarà bene, in futuro, ricordarsi che la storia, in un genere così codificato come il giallo, è la base fondamentale da cui partire, soprattutto se si vuole valorizzare personaggi di per sé interessanti, ma bisognosi di approfondimento. La nota di merito più grande va all’attore protagonista, Giuseppe Battiston, così carismatico nella sua insicurezza di ispettore al primo caso di omicidio e alle prese con gli strascichi di una giovinezza non ancora lasciata andare e ormai dannosa. Chissà se lo rivedremo.

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