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Mina Vagante: La Felicità è un Sistema Complesso (Gianni Zanasi, Belgio-Svizzera-Francia, 2015)

Questo film giustifica la presenza di Valerio Mastrandrea in giuria del Festival, perché senza di lui non avrebbe senso neanche vederlo. Non sto parlando di significato del film, quello manca a prescindere. Non parlo neanche di stile, perché di personale c’è solo la colonna sonora (azzeccatissima) e l’immagine, iper-realistica fino a trascendere nel surreale.

Parlo del fatto che La Felicità è un Sistema Complesso spiega egregiamente il motivo per cui un discreto cast e una tecnica cinematografica notevole non bastano a far film. La storia fa acqua da tutti i pori, le situazioni non sono sviluppate quanto meriterebbero e quindi molto viene sprecato, dai set agli attori – primo fra tutti Battiston (mannaggia a te Zanasi!), ma anche la bellissima israeliana Hadas Yaron che si dovrà accontentare del Premio 500X Award Fiat for #TFF. Arrivati alle due ore di film, c’era ancora in sala chi si chiedeva se fosse solo la fine del primo tempo (non scherzo).

Nel film non si vede mai l’azione in sé, si riprende piuttosto l’esito e le conseguenze sulle persone degli eventi. Una scelta onesta nella direzione del realismo, giacché vita e morte non accadono sempre sotto i nostri occhi. Ma se di realismo si intendeva parlare, allora tutte le scene che strizzano l’occhio alla cultura young risultano inevitabilmente surreali, degne di un cinepanettone.

Quel che manca al film è il coraggio di sfruttare maggiormente scene come quella della stazione, in cui l’assenza di dialoghi dona una magia quasi neorealista all’ambiente, anche in qualche modo onirico.

Peccato sia l’unica scena.

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