Sport

Donne nello sport, dai primi 100 metri a oggi

Il 31 luglio 1928 si svolse ad Amsterdam la prima finale olimpica dei 100 metri al femminile della storia; in quell’edizione, infatti, anche le gare di atletica leggera furono aperte alle donne. I primi Giochi Olimpici in assoluto a cui delle atlete poterono partecipare furono invece quelle di Parigi del 1900, esclusivamente nel tennis, nel croquet e nella vela. Da allora la presenza femminile nelle grandi competizioni internazionali divenne gradualmente sempre più consistente. Solo nel 2012, però, le donne accedettero a tutte le discipline olimpiche, mediante l’introduzione della boxe femminile.  

Vediamo ora le vicende di alcune figure femminili che si sono affermate come modelli di ispirazione per l’ingresso delle donne nel mondo dello sport, cominciando proprio da colei che vinse quei primi 100 metri nel 1928.

La tenacia di Betty Robinson

Alle Olimpiadi di Amsterdam Betty Robinson aveva 17 anni; era entrata nella nazionale USA di atletica per caso, dopo che pochi mesi prima un suo insegnante l’aveva notata correre per prendere il treno. Da quel momento aveva cominciato ad allenarsi con la squadra del suo istituto, vincendo numerose gare e affermandosi ai trials selettivi per i Giochi. Durante la finale, caratterizzata da momenti di alta tensione dovuti alle false partenze e conseguenti squalifiche di due atlete, Betty riuscì ad arrivare prima di tutte le altre, compresa la ventiquattrenne canadese Fanny Rosenfeld, molto più rinomata a livello internazionale.

Tre anni dopo quella prima esperienza olimpica, tuttavia, rimase coinvolta in un terribile incidente aereo assieme al cugino, che non sopravvisse; lei invece riportò ferite e fratture gravissime a una gamba, alle anche e alle braccia. I medici le dissero che non sarebbe più riuscita a gareggiare ad alti livelli, ma lei non si arrese. Dal momento che non poteva più piegare la gamba sinistra nella posizione di partenza, si specializzò nella staffetta, evitando semplicemente di correre in prima frazione. In questo modo si qualificò anche per le Olimpiadi di Berlino del 1936, dove vinse la seconda medaglia d’oro della sua carriera. Gli Stati Uniti sconfissero infatti le temutissime tedesche, che all’ultimo cambio avevano addirittura otto metri di vantaggio, ma fecero cadere il testimone.

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Premiazione della staffetta femminile 4×100 alle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Fonte: Aileen Meagher NSARM MG 1 vol. 2997 no. 2 p. 275 / microfilm no.: 9488 via Wikipedia

Betty Robinson restò sempre un grande simbolo di tenacia, tanto che nel 1996, all’età di 84 anni, venne pure invitata a trasportare la torcia olimpica in occasione dei Giochi di Atlanta.

Katherine Switzer, simbolo del ’68

Nel 1967 solo gli uomini avevano la possibilità di partecipare alla maratona di Boston, in quanto quella distanza era ritenuta troppo lunga e faticosa per una donna; Katherine Switzer, 20 anni, riteneva però di avere tutte le capacità necessarie per portare a termine la corsa. Decise allora di eludere il divieto iscrivendosi solo con le sue iniziali invece che con il nome completo: K.V. Switzer, con il pettorale 261.

Il giorno della competizione si presentò quindi assieme agli altri atleti e un giudice di gara, Jock Semple, la notò, la inseguì e la strattonò malamente, cercando di fermarla. Lei, tuttavia, riuscì a proseguire e a tagliare il traguardo, anche grazie all’aiuto di altri corridori, che contribuirono ad allontanare l’arbitro.

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Katherine Switzer viene trattenuta dal giudice Jock Semple, mentre altri corridori cercano di aiutarla. Autore: Recuerdos de Pandora

La corsa di Kathy ebbe grande rilevanza mediatica, dal momento che si collocava all’interno del più ampio movimento del ‘68, una delle prime occasioni in cui le donne cominciarono davvero a lottare per la loro emancipazione. Gli effetti nell’ambiente sportivo furono evidenti; nel 1968, a Città del Messico, per la prima volta una ragazza poté accendere la torcia olimpica, cioè Enriqueta Basilio, e nel 1971 anche le atlete poterono partecipare alla Maratona di Bonston. Ancora oggi il numero 261 è escluso dai pettorali disponibili nella competizione, per onorare il valore di Katherine come sportiva e come attivista.

Veronica Diquattro e la campagna per le donne dirigenti

Se ai giorni nostri le donne si sono ormai messe in luce in buona parte delle discipline sportive esistenti, un problema che ancora persiste è la loro scarsa presenza nei ruoli dirigenziali di Federazioni o aziende di ambito sportivo. Nel gennaio 2019, su tutti i membri del CIO solo il 33% erano donne; delle 27 Commissioni dello stesso CIO solo 8 erano presiedute da donne.

Un’eccezione di assoluto spessore in questo senso è rappresentata da Veronica Diquattro, nata nel 1984: nel 2018, infatti, DAZN – una delle principali piattaforme streaming di competizioni sportive a livello internazionale – la assunse come Amministratore Delegato dell’azienda in Italia e poi anche come Chief Revenue Officer per l’Europa. La sua storia, pur essendo ancora molto giovane, offre diversi spunti sui concetti di leadership femminile ed empowerment, andando anche ben oltre alla sola dimensione sportiva. Dopo la laurea in Marketing e alcuni stage, si trasferì a Buenos Aires con pochi risparmi e viaggiò per tutto il Sud America; trovò lavoro presso la Loki Hostel, una catena alberghiera della zona, come consulente di marketing online e offline. Dopo due anni si mise ulteriormente in gioco, partecipando a diversi colloqui indetti da Google, che all’epoca cercava giovani da integrare nell’azienda: ottenne un incarico come media specialist e si spostò a Dublino.

Infine, prima di arrivare a DAZN, nel 2012 passò a lavorare per Spotify; qui divenne la responsabile del mercato prima in Italia e poi in tutto il Sud Europa. Oggi è impegnata nelle campagne che mirano a incoraggiare le ragazze a sognare carriere importanti, incentivandole soprattutto a studiare le cosiddette discipline STEM, in cui le iscrizioni sono ancora prettamente maschili.

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Veronica Diquattro Crediti: Ufficio Stampa di DAZN

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