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Antonello Venditti tra pop e canzone d’autore

[Marzo sta giungendo al termine, ma in questo mese ha festeggiato il compleanno Antonello Venditti, figura longeva e significativa della musica italiana, in bilico tra canzone d’autore e pop: ne dipinge un ritratto Luca Bertoloni]

Marzo è ormai giunto all’epilogo, ma i primi giorni del mese che dà il benvenuto alla primavera sono particolarmente significativi per la canzone d’autore italiana, poiché vi trovano spazio i natali di almeno due giganti del genere, così distanti tra loro, ma al contempo così vicini: Lucio Dalla e Antonello Venditti.

La parabola artistica di Antonello Venditti è piuttosto unica all’interno della canzone d’autore italiana, e per questo consente riflessioni che vanno aldilà della sua carriera e della sua opera. Cantautore di seconda generazione, Venditti nasce l’8 marzo 1949, poco prima dei suoi colleghi romani De Gregori e Baglioni; negli anni ’60 è uno dei giovani musicisti che si esibiscono al Folkstudio, anima transteverina della musica jazz, e culla della nascente canzone d’autore anche internazionale (nel 1962 vi aveva suonato il giovanissimo Bob Dylan, ancora sconosciuto): qui Antonello incontra Francesco De Gregori, stringendovi un sodalizio artistico prima con i Giovani del FolkStudio (insieme ai meno noti Giorgio Lo Cascio e Ernesto Bassignano), poi solo con l’autore di Generale; i due producono così il loro primo album in studio, Theorius Campus, del 1972. Tra i brani del Folkstudio che qui vi approdano, ha senz’altro un ruolo di rilievo Roma Capoccia, brano scritto da Venditti a soli 14 anni, ma che già denota una personale idea di canzone che lo caratterizzerà per tutto il corso della carriera: un continuo travalicamento tra pop e canzone d’autore. Per pop si intende qui un’anima fortemente popolare, romana e romanesca, che non si limita a ritrarre bozzetti comici o ritrattistici della città, ma la impregna di forte lirismo; la relazione tra Roma e i sentimenti dell’autore sono tutti nei versi del ritornello: «Oggi me sembra che / er tempo se sia fermato qui, / vedo la maestà der Colosseo / vedo la santità der Cupolone / e so’ più vivo e so’ pù bbono». L’autorialità sta nel dipingere la capitale filtrata dai propri occhi, dai quali si rifrange un sentimento fortemente intenso e personale.

Inizia così la carriera di Venditti, che molto presto prenderà una strada fortemente politicizzata a sinistra, per questo facilmente circoscrivibile dalla critica anni 70/80 alla categoria del cantautore (sorte non destinata ai coevi e non impegnati Battisti e Baglioni, per i quali la definizione di cantautore  arriverà soltanto a partire dalla fine degli anni ’90, anche se per alcuni non sono da ritenere tali ancora oggi). Venditti è senza dubbio cantautore per la coerenza tematica che ha sempre espresso in tutta la sua lunga e prolifica carriera: è del 1984 il celeberrimo 45 giri Ci vorrebbe un amico/Notte prima degli esami. La canzone del Lato B, entrata nell’immaginario collettivo anche grazie a libri e film, è ancora una volta un rispecchiamento notturno tra Roma e gli stati d’animo dei protagonisti del brano (i giovani ragazzi del Folk Studio, due ragazzi che stanno per affrontare gli esami di maturità, e più in generale tutti gli attori della “pazza vita notturna” di Roma). A riprova dell’appartenenza di Venditti al versante più pubblico e riconosciuto della canzone d’autore, vi è la cosiddetta tenzone moderna che avviò, con il Lato A di questo singolo, con Roberto Vecchioni, il quale scrisse, in risposta al brano di Antonello, in Linvingstone (1985), «ci vorrebbe una donna per dimenticare un amico». L’altra anima di Venditti è quella del filone sociale, che sottostà delicatamente a tutta la sua produzione, dalla giovanile Sora Rosa (pubblicata nel 1972, ma precedente di qualche anno come composizione), brano in cui l’autore stesso dialoga con un’ipotetica signora Rosa (Sora Rosa in romanesco), con un marcato romanesco inframezzato da stringhe di parlato regionale molto connotato, lamentandosi della guerra e delle ingiustizie sociali, fino alla più recente Che fantastica storia è la vita (2003), che traccia ritratti di situazioni sociali contemporanee, dal giovane laureato all’impiegato.

Al fianco di questo fil rouge sociale, a partire dagli anni ’80 si è stagliato un filone decisamente più leggero di canzoni amorose, che arrivano fino ai recenti successi Unica (2013) e Cosa avevi in mente (2015): per qualcuno, Venditti avrebbe smarrito la propria vena artistica (l’etichetta di grande cantautore sarebbe quindi valida soltanto per i brani degli anni ’70 e dei primi anni ’80);  per qualcuno invece anche l’ultimo album di inediti, Tortuga (2015), sarebbe ancora intriso di topoi autoriali vendittiani come i luoghi di Roma, specchio dei sentimenti (Tortuga è un bar che si trova davanti al Liceo Giulio Cesare, luogo molto presente nella sua discografia), l’intenso psicologismo, l’attenzione sociale e la lotta tra le generazioni.

Un dato di fatto è che il primo Venditti è riuscito, grazie ad una spiccata colloquialità di impianto romanesco, accompagnata da uno stile musicale raffinato, a creare una canzone d’autore di impronta fortemente popolare (anche se tematicamente e socialmente impegnata); tutto questo, a partire dalla fine degli anni ’80, viene percepito dalla critica come “superato”, per cui a Venditti non resta che continuare a scrivere canzoni in bilico tra popolare (che ormai era diventato pop) e propria visione del mondo, con uno stile linguistico che però non è mai riuscito a decollare, sempre un passo indietro alla ricercatezza e alla figuratività di colleghi come Dalla, De Gregori o Baglioni. Per questo Venditti, sin dagli anni ’70, può essere considerato un precursore della figura che alcuni critici e musicologi contemporanei chiamano cantapopautore (cui è per esempio Jovanotti, o al limite anche Cesare Cremonini): si tratta di autori con una propria visione del mondo (più o meno bravi, originali o raffinati a seconda dei casi), ma che utilizzano le dinamiche del pop come forma espressiva della propria arte in musica e parole.

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