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Amores perros – Amori bastardi

Amores perros (2000) di Alejandro Gonzàles Iñarritu è il primo capitolo della Trilogia sulla morte, al quale seguono 21 grammi (2003) e Babel (2006). Il regista, allora esordiente, inizia la propria – brillante – carriera con un progetto ambizioso: una disperata e travolgente indagine esistenziale, una riflessione sul destino. Insomma, nonostante il nome sotto il quale vengono raccolte, il vero tema di queste tre opere, in fondo, è la vita. Iñarritu, per descrivere la sua storia, opta per una regia forte, percepibile nel montaggio irrequieto, a tratti rabbioso, e negli stacchi repentini, quasi disorientanti.

La vita, che ci viene proposta sotto forma di tre storie, tre capitoli, tre coppie: Octavio e Susana, Danièl e Valeria, El Chivo e Maru. I primi, due cognati che appartengono al sottoproletariato di Città del Messico, progettano di andarsene insieme, lontano dal fratello/marito violento; Valeria è una ricca modella, all’apice del proprio successo, trasferitasi da poco col nuovo compagno, fresco di divorzio. El Chivo è un ex guerrigliero che, dopo vent’anni passati in prigione, fa il killer per denaro. A provocare il corto circuito che intreccerà fatalmente i loro destini è un incidente d’auto, che vedrà coinvolti Octavio e Valeria e al quale assisterà El Chivo.
Tutti loro (come tutti noi) sono alla ricerca di qualcosa: di un equilibrio, però costantemente messo in dubbio o distrutto da una forza superiore, la violenza, quella della città, della lotta di classe e quella tra i cani. Sì, i cani, ulteriore anello di congiunzione tra i protagonisti: Octavio decide di far combattere quello del fratello per denaro; Valeria non si separa mai dal suo cucciolo e El Chivo vive circondato da randagi salvati dalla strada. Cani che, con il procedere della storia, si riveleranno “uguali ai loro padroni”, nel bene e – soprattutto – nel male. Tutti loro cercano qualcosa, dicevo, ma alla fine si rendono conto che, lungo il proprio percorso, non è poco quello a cui sono stati costretti a rinunciare. Ma Iñarritu sembra volerci dire che anche se gli “amori bastardi” ci devastano, ci lasciano disillusi, consumati, alla fine contribuiscono a renderci le persone che siamo, proprio perché siamo anche quello che abbiamo perso.

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