Candidato siberiano?
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In questi giorni, Trump è di nuovo (sic!) al centro di una polemica mediatica che lo vede reo del mancato pagamento le tasse per un totale di circa diciotto anni. Diciamo che se l’è un po’ cercata quando, al dibattito di lunedì 26 ottobre, ha dichiarato di essere solo più furbo degli altri nel aggirare le leggi americane. Così tanto furbo da evadere ma in modo legale. Non è sicuramente la prima volta che i media si interrogano sulle dichiarazioni del candidato repubblicano, e infatti anche quest’estate si era trovato nel fuoco incrociato per una questione ben più interessante e potenzialmente pericolosa.
Il tutto è cominciato con un “semplice” attacco informatico al server del Partito Democratico, dal quale sarebbero sparirte numerose mail per poi riapparire su WikiLeaks. In quelle mail si dimostrava come alcuni membri del Partito che avrebbero dovuto rimanere imparziali, avevano invece agito per favorire la nomina a candidato della Clinton invece di Bernie Sanders. Uno scandalo che ha portato il Presidente del Partito, Debbie Wasserman Schultz, alle dimissioni nella stessa settimana della Convention democratica. Il Partito è arrivato così alla nomina ufficiale del candidato completamente diviso, in calo nei sondaggi e nelle proiezioni di voto, e poi il fatto che la Clinton fosse nuovamente indicata come una manipolatrice politica non era che la ciliegina sulla torta. Qualsiasi candidato rivale avrebbe usato le proprie carte al meglio per guadagnare sostegno, ma Trump non è un candidato normale e questa non è una campagna normale. Dopo un grande evento politico, per individuare il colpevole si cerca tra coloro che hanno beneficiato maggiormente dall’evento stesso. Per cui quando è emerso che gli hacker erano russi e che il possibile mandante fosse Putin (anche se il Cremlino ha negato qualsivoglia coinvolgimento), analisti e politici hanno iniziato ad interrogarsi sul legame che esiste tra lo stesso Putin e Trump. Quast’ultimo è dunque diventato protagonista in alcune teorie complottiste messe in circolazione non solo dai democratici ma anche dai repubblicani. Le dichiarazioni di entrambi gli uomini politici sono state lette e interpretate sotto una nuova prospettiva.
“Un uomo colorato e talentuoso”, così Putin avrebbe definito Trump a dicembre scorso, per poi aggiungere a giugno «Il Signor Trump ha dichiarato di essere pronto a restaurare completamente i legami russo-americani. C’è qualcosa di sbagliato? Lo vogliamo tutti no?». La preoccupazione nasce dal momento che gli americani temono che Trump diventi la marionetta di Putin alla Casa Bianca. Chiaramente il candidato repubblicano è più facilmente manipolabile vista la relazione personale intrattenuta negli anni con il Presidente russo. Preferibile, dunque, per il Cremlino dato che la Clinton è profondamente anti-russa.
Anche se poi Trump non dovesse rivelarsi effettivamente il candidato siberiano, come Paul Krugman noto economista ed editorialista del New York Times lo ha definito, sta di fatto che alcuni suoi legami oggettivi con la Russia esistono, a cominciare dal quando Trump era “solo” un imprenditore. Nel 1987, avrebbe preso contatti con il governo russo per investire nella costruzione di alcuni alberghi e edifici. Negli anni ’90, ha tentato senza successo di costruire una Trump Tower nelle vicinanza della Piazza Rossa a Mosca. Per poi arrivare ad esportare il concorso di bellezza Miss Universo in Russia. In quest’ultimo caso, Trump avrebbe ricevuto un pagamento di quattordici milioni di dollari per aver scelto uno degli alberghi di Aras Agalarov, un imprenditore edile russo-azero, stretto collaboratore di Putin. Nel 2008 il figlio di Trump, Donald Jr., ha dichiarato alla stampa che al mercato immobiliare dei Trump arrivano ingenti flussi dai russi e che le compravendite degli stessi costituiscono la maggior parte delle loro azioni. Nello stesso anno, Trump Sr. ha venduto una proprietà di Palm Beach per novantacinque milioni di dollari a Dimitry Rybolovlev, oligarca russo e capo dell’industria di produzione dei fertilizzanti. Rybolovlev è stato coinvolto, proprio quest’anno, nell’affaire dei Panama Papers per aver nascosto quadri per un valore complessivo di due miliardi di dollari.
Fin qui però sono tutte storie di soldi e investimenti, d’altronde alcuni russi ce li hanno è normale che li usino. Tuttavia, le cose diventano più complesse nel momento in cui quei soldi si sono tradotti in coinvolgimento politico. Il canale preferenziale che legherebbe indirettamente Trump a Putin risiede nella figura di Paul Manafort, il direttore di campagna elettorale di Trump. Egli ha fatto però gran parte della sua carriera in est Europa come consigliere e consulente di tre dei principali oligarchi ucraini filo-russi Akhmetov, Firtash e Deripaska. Manafort è stato anche lo stratega artefice della vittoria elettorale di Viktor Yanukovytch, il Presidente ucraino completamente filo-russo deposto dalle manifestazioni politiche pro-europeiste avvenute nel 2014. Yanukovytch vive oggi protetto in Russia. Durante un’indagine specifica su questi legami, il NYTimes è riuscito ad ottenere dei documenti dall’autorità anti-corruzione ucraina che dimostrano che Manafort avrebbe aperto dei conti alle Caymann per conto di una fondazione a nome di Deripaska con la quale avrebbe poi pianificato l’acquisto di azioni di un’altra fondazione che faceva capo a Yanukovytch. Una transazione che somiglia pericolosamente ad un finanziamento poco cristallino, vedi proprio illecito, a vantaggio del Presidente ucraino. A complicare la storia interviene poi un’azione legale iniziata da Deripaska contro Manafort che lo accusa di avergli nascosto diciannove milioni di dollari in un altro conto alle Caymann di cui mancano le tracce. Siccome Manafort per Trump si è incaricato del lobbying internazionale (negli Stati Uniti è permesso), per rimanere nella legalità avrebbe dovuto dichiarare tutti i soldi ricevuti dai precedenti clienti. Insomma un bel casino da giustificare per Trump che ha già le sue figuracce da farsi perdonare. In ogni caso, Manafort per allentare la pressione mediatica si è dimesso (due giorni dopo la Convention repubblicana). La Associated Press ha poi scoperto che tra i collaboratori di Manafort era presente anche Rick Gates, il quale avrebbe deviato due milioni di dollari da due agenzie di lobby americane verso le casse di Yanukovytch o del suo partito. Gates sarebbe stato anche il tramite con il quale Manafort avrebbe continuato a lavorare per gli ucraini nonostante stesse dirigendo la campagna di Trump.
Ma non è finita qui, nell’entourage di Trump c’è un altro uomo che viene da freddo, Carter Page, un consulente finanziario molto (troppo?) vicino a Gazprom, l’industria russa produttrice di gas naturale controllata dallo Stato. Politico, un giornale di informazione politica americano, avrebbe anche le prove di un legame tra Page e i servizi di intelligence russi per tramite di un linguista russo con cui Page collaborava. Tutte queste rivelazioni, del NYTimes, dell’Associated Press e di Politico, sono state smentite, una dopo l’altra, da Manafort, ma ormai la voce gira
Date queste premesse, le dichiarazioni di Trump in merito alla politica, definita troppo debole, di Obama nei confronti della crisi in Ucraina; così come la promessa dello stesso candidato di ridefinire il ruolo americano in seno alla NATO, un’organizzazione che lui considera ormai obsoleta, sono diventate molto sospette. Anche la linea di Trump secondo la quale la NATO non dovrebbe andare in soccorso dei paesi membri in caso di attacco di un paese nemico (tipo, a caso, la Russia), suona strana. Ancora più strana se si considera che la NATO è nata proprio come organizzazione di difesa dei paesi membri per volontà di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Gomblotto o no, Trump è chiaramente disposto, anche in virtù dei suoi legami, a rivedere il rapporto che l’America ha con la Russia. Il problema riguarda però la direzione che questo nuovo rapporto prenderà. Sarà davvero l’occasione per rendere l’America «great again» come vorrebbe Trump? O l’occasione per Putin di coronare il proprio sogno di controllare a distanza il grande rivale?