Cultura

Intervista a Luisa Filippi: discussione su arte, cultura e giovani

di Enrico Schleifer

Pubblichiamo con piacere questa interessante intervista a Luisa Filippi – assessore alla Contemporaneeità del Comune di Rovereto (TN) – concessaci da Enrico Schleifer, studente della facoltà di Musicologia di Cremona (distaccamento dell’Università di Pavia).

 

Luisa Filippi

 

Nel tornare da paesi lontani, un tempo, si potevano raccontare esotiche popolazioni dai costumi insoliti e bizzarri; il rischio sempre presente, lo sa bene Marco Polo, era però quello di non essere presi sul serio perdendo credibilità e autorevolezza. Oggi una realtà meno lontana della Cina (parliamo di Rovereto, in provincia di Trento) ha usanze che sarebbero comunque considerate particolari: l’Assessorato alla Contemporaneità assegnato a Luisa Filippi, eletta nel 2010 a 27 anni, ha il merito di continuare, anche in questo periodo di crisi, l’investimento di un euro su dieci per curare la ricchezza artistica della città. La fortuna di testimoniare personalmente l’esistenza di una tale rarità e di informarci presso di essa sull’attuale situazione artistica dal punto di vista culturale, istituzionale e lavorativo ci impone di condividere l’esperienza fatta, a costo anche di rischiare la stessa sorte dell’esploratore veneziano.

 

Assessore, Lei che difficoltà vede oggi nella diffusione e nella valorizzazione dell’Arte, in particolare quella contemporanea?

«L’arte ha sempre richiesto tempo perché noi fossimo in grado di interpretarla in maniera disinvolta. Con essa, ed in particolare con l’arte contemporanea, chi si occupa di organizzare eventi deve a mio avviso tener conto di quelli che sono i naturali filtri della storia: molti degli artisti che noi prendiamo in esempio, infatti, non sono quelli che avevano successo fra i loro contemporanei. Molti non capiscono che un Ente si deve prendere la difficile responsabilità di dare spazio a molte realtà, sapendo che alcune di esse avranno un successo lampo, altre verranno cancellate quasi immediatamente e che solo una piccola parte rimarrà davvero nel nostro patrimonio culturale, senza che nessuno abbia modo di saperlo in anticipo».

Che difficoltà reali ha un Ente a seguire così attentamente la cultura e a valorizzarla, anche economicamente, in maniera appropriata?

«Sono convinta che un Assessorato relativo alle attività artistiche non si dovrebbe occupare principalmente di calcolo economico, altrimenti non si tratterebbe più di cultura ma di mera vendita di spettacoli. È vero però che molti non conoscono il funzionamento della partizione dei fondi comunali: l’esempio che posso portare per Rovereto vede tutti i fondi e tutte le entrate delle varie manifestazioni uniti in una sorta di calderone generale, e successivamente ripartiti in maniera più omogenea, o a seconda delle eventuali necessità fra tutti gli Assessorati. Bisogna capire quindi che anche quando la cultura porta numerose entrate, riutilizzarle per ottimizzare unicamente la propria attività non sarebbe comunque un comportamento opportuno».

Lei che conosce e vive sia la situazione giovanile che quella istituzionale, che consigli darebbe ai giovani di oggi?

«Il punto principale è quello di accettare il fatto che bisogna fare molta fatica. Senza un impegno costante e un lavoro continuo non si arriva mai molto lontano. Un altro impegno che mi ha personalmente aiutato è stato quello di fare un’esperienza all’estero: lo consiglierei anche se la realtà nazionale fosse la più fiorente del panorama, aprirsi nuovi orizzonti, scoprire realtà diverse e confrontarsi con nuovi punti di vista è una crescita che non sarebbe comunque possibile rimanendo nel proprio Paese, ma dà certamente, anche solo per l’apprendimento di una lingua straniera, nuovi strumenti».

 

Nuovi strumenti che a Rovereto, fortunatamente, vengono utilizzati con cura ed attenzione, ed i risultati, per chi ci è andato e per chi ci andrà, si vedono. In questo modesto nuovo Milione ci è stato dimostrato che gli altri milioni (quelli pecuniari), pur essendo un ingrediente fondamentale per il benessere della comunità, non sono per fortuna l’unica sostanza su cui si basa il lavoro di un operatore culturale.

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