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Recensione – Il gioiellino

di Erica Gazzoldi

Una vanga rompe la terra, con un colpo netto. <<Qui c’è qualcosa>>. C’è molto, infatti, sotto il crac della Leda. C’è, innanzitutto, la cronaca di anni non remoti. Il 2003 ha visto scoppiare lo scandalo della Parmalat: una bancarotta fraudolenta che ha polverizzato patrimoni azionari e risparmi. Il caso era un intreccio di finanza e politica, che il regista Andrea Molaioli ha raccontato con sottigliezza, filosofia e perfino umorismo. <<È un lungometraggio sulla capacità tutta italiana di non essere in linea coi tempi che corrono, di tentare di risolvere situazioni senza rendersi conto che non sono risolvibili>> dichiara al corrispondente di Coming Soon Television.
Il gioiellino è stato scelto dal Coordinamento per il diritto allo studio – UDU di Pavia, per aprire INDIE – Rassegna di cinema indipendente. La prima serata ha avuto luogo il 22 marzo 2012, presso il multisala Corallo – Ritz. Immancabile la collaborazione del dott. Roberto Figazzolo, per la critica cinematografica.
Il “gioiellino” è la Leda, azienda che distribuisce latte a lunga conservazione ed altri prodotti alimentari. Essa ha fruttato una laurea in Economia honoris causa al suo patron, Amanzio Rastelli (Remo Girone). La sua vicenda è narrata in un lunghissimo flashback, dopo le scene iniziali di indagini e arresti. Ne emerge il ritratto di un patriarca vecchio stampo, legato alle tradizioni di famiglia (<<Mio nonno aveva un salumificio […] Guarda cosa ne ho fatto!>>). Il passato rimane punto di riferimento fisso: Rastelli ha costruito la propria fortuna sul latte, perché era ciò a cui nessuno rinunciava “durante la guerra”. Ama insistere sui “valori” morali dell’azienda e mantenere l’appoggio del clero. Profilo concorde con quello di Calisto Tanzi, fiancheggiato dalla Democrazia Cristiana.
Per lui, la Leda non è uno strumento di profitto, ma d’identificazione. Grazie a essa, lui è ciò che è (imprenditore, patriarca, dottore). Non saprebbe concepirsi senza il proprio “gioiellino”. Rifiuta così di venderlo, nonché di cedere le proprie azioni. Giunge a trascurare il vantaggio economico, per salvare l’ideale di se stesso.
Nella direzione amministrativa, concorda più con i metodi sbrigativi del rag. Ernesto Botta (Toni Servillo) che con le competenze aggiornate della dott.ssa Laura Aliprandi (Sarah Felberbaum). Le donne sono l’elemento dinamico dell’azienda, ma anche quello più svilito. Sicché la Leda è sempre più simile al “fantolino” dantesco: “…muor per fame e caccia via la balia.” Non si trovano nuovi mercati; Botta mal gestisce i rapporti con i potenziali finanziatori. Un mare, letteralmente, di latte versato, su cui non si può piangere.
Il film cita la cronaca (le proteste contro le quote latte); allude alla politica del periodo (l’ “innominato” Silvio Berlusconi…). Le regole dell’imprenditoria sono espresse per sentenze dal sapore proverbiale. La loro immediatezza controbilancia certo lessico specialistico (“marginalità”; “rilevare”; tycoon…). Il tutto per mostrare il castello di carte in cui si è “evoluta” l’economia: impero fantasma, ove le fortezze possono giganteggiare un giorno e rivelarsi fumo in quello seguente.

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