Cultura

Dalla storia raccontata alla realtà protagonista

di Simone Lo Giudice

 

“Abbiamo fatto l’Italia! Ora dobbiamo fare gli Italiani!”: così Massimo d’Azeglio sentenziava all’indomani dell’unificazione nostrana. Una riflessione politica che ha lo stesso sapore di una teorizzazione spettacolare: fare l’Italia prima per fare gli Italiani poi, scrivere la storia prima per scrivere il cinema poi. In quest’ottica la pellicola proiettata assolve le stesse funzioni di uno specchio riflettente, ma con la peculiarità di agire perlopiù a posteriori.
Così “La presa di Roma” (1905) rispolvera nel pubblico di primo Novecento il ricordo dell’episodio risorgimentale che annesse Roma al Regno d’Italia (1870), decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi.
Dal Risorgimento al primo conflitto mondiale: “La Grande Guerra” (1959) sfagiola le contraddizioni insite nella macchina bellica di ogni tempo. Mario Monicelli mescola tragedia e commedia per affrescare la vita in trincea del romano Oreste (Alberto Sordi) e del milanese Giovanni (Vittorio Gassman): due uomini del 1959 (quindi ormai temprati dalle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale) a ridestare la coscienza nazionale di fronte al logoramento umano provocato dalla remota Grande Guerra. Una sorta di sovraccarico cognitivo con lo scopo di stra-ribadire la follia bellica dell’uomo novecentesco.A smorzare la distanza temporale tra storia rappresentata e anno di edizione ci pensò la corrente neorealista: il rosselliniano “Paisà” (1946) proiettò l’avanzata alleata delle forze anglo-americane dalla Sicilia al Polesine un paio di anni dopo i fatti storicamente accaduti. Dal Rossellini end-war al De Sica post-war: in “Ladri di biciclette” (1948) il presente neorealista si fa sulle strade adesso per diventare protagonista cinematografico oggi, a spasso tra attori non professionisti e scene di ordinaria drammaticità.
Ben presto l’Italietta post-bellica si riscopre l’Italiona del boom economico: il felliniano “La dolce vita” e il visconteo “Rocco e i suoi fratelli” sono i figli spettacolari del loro tempo, di quel 1960 fatto tanto di riscatto materiale quanto di avveniristico benessere.
Lo scarto cinematografico è ormai compiuto: la storia raccontata ha lasciato il palcoscenico alla realtà protagonista. In quest’ottica un film come “Italians” (2009) ci aiuta a ritrarre la figura dell’italiano impreparato di fronte al mondo globalizzato: un ultimo riflesso della società contemporanea, in cui l’uomo comune tende ad agire (quasi inconsciamente!) come un attore spettacolare, a spasso tra clichés ideologici e luoghi comuni.

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