Attualità

#IJF14 – Siria: la guerra, i media, la società

«È uno dei pochi conflitti in cui non si capisce ancora la verità, malgrado ne parlino in molti»
«In quanto media abbiamo fallito. Quel che manca è l’ascolto delle voci siriane»

Queste le affermazioni alzatesi all’inizio del panel che si è tenuto giovedì 1 maggio al Festival del Giornalismo di Perugia, e che ha messo il numeroso pubblico davanti  a una realtà ormai molto chiacchierata: la guerra in Siria.
La domanda che è stata rivolta ai relatori della conferenza non è stata però quella di spiegare la guerra, gli eventi, le fazioni, ma questa: come i media occidentali ne stanno parlando? Passano informazioni, messaggi giusti o sbagliati? Qual è la verità?

Ugo Tramballi

Il dibattito è avvenuto tramite la discussione tra il moderatore Ugo Tramballi, inviato ed editorialista del Sole 24 Ore, e quattro relatori: Sakhr Al-Makhadhi, giornalista anglo-arabo che lavora per J Magazine, Sam Dagher, corrispondente dal Medio Oriente per il WSJ che attualmente segue la situazione siriana dalla capitale di Damasco, Marwan Maalouf, avvocato che dirige l’Institute for War and Peace Reporting di Tunisi, e Joe Parkinson, che dirige la sede del WSJ a Istanbul.

Ciò che è stato sostenuto alla conferenza è che in molti parlano di questo conflitto, ma pochi raccontano realmente la realtà. Perché? Perché, come sostiene Sam Dagher, riferire della guerra in Siria è una grossa sfida?
La situazione per i giornalisti è cambiata nel corso del conflitto: se in un primo momento questi erano supportati dai ribelli, in quanto pensavano che la diffusione mediatica potesse dar loro una mano contro il regime, in un secondo momento i ribelli stessi si sono rivolti con ostilità ai media, proprio quando hanno capito che questi non sarebbero stati loro d’aiuto. I siriani ormai non sentono più l’esigenza di raccontare e di diffondere le notizie sul loro conflitto. Non vogliono più collaborare, ma pensano solo ad accusare i media di schierarsi da una delle due parti belligeranti.
La conseguenza è stata drammatica per i giornalisti, per i quali, come spiega Marwan Maalouf, «non esistono più luoghi sicuri in Siria. È diventato difficile accedere al Paese e chi ci riesce rischia di essere rapito o recluso».Ciò comporta una cattiva informazione, perché chi ne parla molto spesso mette in evidenza in modo acritico i fatti appresi dai principali canali arabi (come al-Jazira e al-Arabya) o mostra solo una parte della medaglia – quella più conveniente.

Nonostante questa difficoltà di informazione, la conferenza dell’IJF14 ha avuto come scopo e come invito quello di non dimenticare questo evento, ma anzi di continuare a parlarne nonostante un’unica verità non esista, poiché è giusto così, come sostiene Ugo Tramballi: «Nella mia professione di giornalista non ho mai incontrato la verità. Per questo abbiamo deciso di utilizzare il plurale: le verità. Così è corretto».

E poi, infondo, una verità esiste e anche cruda: quella delle innumerevoli vittime di questo conflitto, che meritano di essere ricordate.

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