Sport

2015, ITALIA’S GOT NBA TALENTS

GRAZIE BELI.

2014, 15 febbraio. All Star Game, gara del tiro da tre punti: the winner is, from San Giovanni in Persiceto, Marco Belinelli. Mano fatata, cuore immenso e, come dicono in Spagna, huevos grandes. Migliorato nel gioco difensivo grazie agli anni trascorsi nella Chicago del generale Thibodudeau, da sempre capace a leggere le situazioni di gioco, Marconba_belinelli approda a San Antonio, la corte di coach Pop. Ben più di un semplice panchinaro: l’italiano, infatti, è il secondo, dopo Tim Duncan, per minuti giocati nella stagione degli Spurs; niente male considerando il grado di difficoltà di adattamento al sistema offensivo di San Antonio. Sarà proprio la qualità della panchina nero-argento, grazie anche al contributo di Manu Ginobili, Boris Diaw e Patty Mills, il vero ago della bilancia nelle finals: +79 di plus minus rispetto a quella degli Heat, quarta migliore prestazione di sempre. Il primo italiano a vincere un titolo NBA. Oppure, più semplicemente, un ragazzo che aveva un sogno ed è riuscito, a colpi di infinita umiltà, da vero campione, a realizzarlo. D’altronde, come disse Michael Jordan, “i limiti, come le paure, spesso sono solo un’illusione”. Marco Belinelli, un sogno diventato realtà: the italian champ.

DENVER & NEW YORK.

Problemi di infortuni, in una squadra con enormi difficoltà, all’ultimo anno di contratto. Situazioni tanto simili quanto opposte per Gallinari e Bargnani. Il Gallo, uno dei leader dei Nuggets nell’era George Karl, sta avendo difficoltà con il nuovo coach Bryan Shaw. Complice anche un lungo infortunio che lo ha tenuto ai box la scorsa stagione. Ma da quando Danilo è passato da New York al montuoso Colorado ha decisamente alzato il livello del suo gioco e, credetemi, l’altitudine del Pepsi Center di Denver non c’entra: il Gallo è on top of the mountain. Mentre per “il mago” Andrea Bargnani la situazione è complicata tanto quanto lo è per i New York Knicks. Tanti soldi, alcuni limiti e una marea di critiche (molte, in tutta sincerità, ingiuste). Tuttavia, Andrea rimane il giocatore perfetto per la “side line triangle”, il sistema offensivo del binomio Fisher-Jackson. Rimane un problema: il progetto del maestro zen guarda al lungo periodo, la pazienza dei tifosi no. Per niente. Tant’è che settimana scorsa, in prima fila, dove i posti al Madison Square Garden vanno via per svariati “pezzi verdi”, in cinque si sono presentati con un sacchetto di carta in testa, inorriditi dalle recenti prestazioni della squadra. È pur vero che se la calma è la virtù dei forti, lo zen è quella dei campioni; però, nella grande mela, si pretende ben altro. “L’ostacolo è la via” recita un proverbio zen: seguila “mago”, qualunque essa sia.

I BELIEVE IN JESUS.

C’è poi un altro italiano che non riesce a scendere in campo. Ma gli infortuni qui non c’entrano: scelta tecnica. Gigi Datome, soprannome “Gesù”. Che dire? Il ragazzo non è scarso (anzi, MVP luigi-datome-nba-detroit-pistons-orlando-magic (1)del campionato italiano nell’anno prima dell’approdo a Detroit) e coach Van Gundy (parentesi doverosa, genio totale del gioco) lo sa: recentemente, intervistato dalla Gazzetta, ha parlato benissimo del ragazzo sardo. Eppure, non si sa per quale ragione, il coach non lo fa schiodare dalla panchina, nonostante, quando sia stato coinvolto, il cotone della retina si sia ripetutamente mosso sotto i colpi del barbuto italiano. Keep calm, caro Gigi, perché molti credono che, come dicono negli States, you belong. Appartieni al mondo NBA. Forse, voglio crederci, le parole di Belinelli saranno per te profetiche: “Nessuno in questi anni ha mai creduto in me… E alla fine ho vinto”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *