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Più umanità e meno narcotraffico: Escobar – Il fascino del male

Dopo Blow (2001), Andrès e Pablo: i due Escobar (2010), Ia serie tv colombiana Pablo Escobar – el patron del mal (2012), Escobar (2014), ma soprattutto il successo riscosso da Netflix con Narcos (2015 – in corso, le nostre recensioni: I stagione , II stagione e III stagione) il lecito dubbio è se fosse necessario dare un nuovo volto al narcotrafficante più famoso di sempre. La risposta ce la dà questa pellicola, tratta dal romanzo di Amando a Pablo, odiando a Escobar (2007), scritto dalla giornalista televisiva colombiana Virginia Vallejo, in cui racconta la sua relazione amorosa con Pablo Escobar. Il film paga una pessima traduzione italiana del titolo, che non rende giustizia nè al romanzo nè alla trama, incentrata non solo e non tanto sulla vita del capo del cartello di Medellìn, ma proprio sul rapporto dell’amante con lo stesso.escobar 2

Il raffronto con Narcos inizialmente pare inevitabile, ma subito si comprende quanto sia inopportuno: la puntualità cronachistica quasi documentaristica sul narcotraffico e sulle indagini della DEA in Colombia della serie Netflix è ineguagliabile – anche grazie al format episodico che regala molto più spazio narrativo – ma la pellicola di Fernando Leòn de Aranoa non si pone affatto questo obiettivo. Scomodando Catullo e il suo celeberrimo epigramma Odi et amo, attraverso gli occhi di Virginia Loving Pablo, Hating Escobar non vuole raccontare di nuovo la storia del criminale prima e ricercato poi, ma far rivivere come lei l’abbia ammirato, amato e poi odiato. Proprio con questo fine le scene gangster alla Scarface, di puro e godereccio spargimento di sangue, sono ridotte all’essenziale ai fini della narrazione e della costruzione del personaggio.escobar 1

La sceneggiatura è concitata e non lascia respiro, dovendo condensare in un film episodi di una dozzina d’anni. L’evoluzione dell’ottica dello spettatore, che si identifica in quella della protagonista femminile, segue senza stacchi di sorta, in un climax ininterrotto le tre parti in cui è diviso il romanzo: I gioni dell”innocenza e dei sogni, I giorni dello splendore e del terrore, I giorni dell’assenza e del silenzio. L’ammirazione per lo spietato narcotrafficante muta in timore, in ribrezzo e infine in raccapriccio, tutto visto dalla donna che sembra essergli stata più vicina, averlo compreso più a fondo. Il cataclisma di eventi cui si assiste nell’ultimo terzo della pellicola è genuinamente angosciante e avvicina alla protagonista, in particolare nelle sequenze in cui è minacciata dai nemici del patron.

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Il regista spagnolo Fernando Leòn de Aranoa si dimostra all’altezza del compito, lasciando la camera ad indugiare su volti e sguardi, portando lo spettatore dentro l’umanità che si celava nel mondo di Pablo Escobar. Riaffiora poi nel cast il confronto con quello che ormai per molti è il volto del patron: Wagner Moura, che l’ha interpretato magnificamente in Narcos. Ma Javier Bardem si dimostra ancora una volta estremamente talentuoso, capace in passato di regalare performances eccezionali e diversissime – ricordiamo Mare dentro, Non è un Paese per vecchi, Vicky Cristina Barcelona, Biutiful, Madre! (la nostra recensione) – e di spiccare anche in titoli pessimi come Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar (la nostra recensione); qui, oltre all’impressionante trasformazione fisica, ha incarnato tutte le pose e movenze che sia negli scritti che nei documenti video sono tipiche dell’Escobar. Penelope Cruz convince fino in fondo, ma la sua è una recitazione più controllata e composta, che corrisponde anche di più al pesonaggio.

Una nuova prospettiva su una storia che ha sempre qualcosa da raccontare, un film da non perdere.

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