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Intervista a Antonio Cianciullo de La Repubblica

A cura di Irene Sterpi

A Perugia, dal 21 al 25 aprile, si è tenuta la quarta edizione del Festival Internazionale del Giornalismo (#ijf10), un’occasione per ascoltare le testimonianze dei professionisti dell’informazione. Nelle prossime settimane pubblicheremo su questo sito le interviste realizzate al termine dei diversi incontri che hanno arricchito il programma della manifestazione. Iniziamo con un intervista ad Antonio Cianciullo, inviato de La Repubblica, uno dei principali giornalisti ambientali italiani.

22 aprile, ore 18, Hotel Brufani, Panel Discussion : “Ambiente e nuova ecologia”

Inchiostro: Dato che abbiamo parlato tanto di informazione, secondo lei come’è, se esiste, l’approccio corretto per parlare di temi ambientali alla popolazione? Cioè, come si potrebbe fare per far recepire alla popolazione il messaggio corretto riguarda ai temi legati all’ambiente?

Cianciullo: Mah, il sistema si basa sul buon giornalismo: il buon giornalismo consiste nel dare in una maniera piacevole, tale che possa essere recepita, le notizie interessanti legate alla realtà. Cioè le notizie che spieghino il senso della realtà, come il mondo sta cambiando, come si sta muovendo, in che direzione si sta andando, ma non in una maniera dottorale: non bisogna pensare che se ci si occupa d’ambiente bisogna educare, perché l’educazione spetta ad altri, non a chi fa giornalismo. Chi fa giornalismo deve essere invece capace di usare un linguaggio tale da creare un meccanismo di comunicazione molto rapido, molto efficace, ma con dei contenuti corretti. Questo è possibile in tanti campi e certamente è possibile in quello dell’ambiente.

Perché è difficile capire l’affidabilità di una notizia scientifica?

Mah, non è più difficile che capire l’affidabilità di altre notizie. Credo che alla base della difficoltà ci siano altri elementi: certamente il fatto che ci sia una carenza di giornalisti specializzati in un tema che invece richiede un know-how sviluppato per poter cogliere le dinamiche, per poter avere la memoria storica di ciò che è accaduto e quindi per poter pesare l’affidabilità delle notizie. La carenza di colleghi specializzati che va a carico di scelte degli editori, non certo dei giornalisti, perché, all’interno della Federazione Nazionale della Stampa ci fu già negli anni ’90 il tentativo di creare un gruppo di giornalisti specializzati in campo ambientale: gli editori hanno fatto un’altra scelta, hanno fatto la scelta di non incoraggiare la specializzazione in campo scientifico ambientale. Questa è stata una decisione sbagliata, una decisione che va nella stessa direzione di quella del taglio dei fondi per la ricerca e per l’innovazione. Noi siamo un paese che spende attorno all’1% del PIL in ricerca e sviluppo e questo è tre volte di meno di quello che spendono i Paesi di punta. In questo deficit di attenzione al mondo della scienza e dell’ambiente sta una delle difficoltà del sistema italiano. Fortunatamente abbiamo altre armi, altre frecce al nostro arco, dobbiamo sfruttarle: quella dell’invenzione della comunicazione, del fatto che alla fine riusciamo a riprenderci miracolosamente. Però non bisogna nemmeno avere un eccesso di fiducia nello stellone e bisogna preparare le basi per una maggiore competitività.

Ritiene per caso che, a forza di parlare di questi cambiamenti climatici, alla fine le persone finiranno un po’ per pensare che poi non sono così gravi?  Sa, la logica un po’ dell’ “Al lupo al lupo”: tutti ne parlano poi alla fine…”

Il problema è come se ne parla: i cambiamenti climatici non sono uno spettacolo che verrà proiettato nelle sale del 2030, sono qualcosa che è già leggibile nella realtà di tutti i giorni, perché buona parte degli eventi estremi che accadono è già legata ai processi climatici di cambiamento in corso. Quindi parlo di un’intensificarsi delle alluvioni, delle siccità, degli uragani… Allora, se ad un certo punto noi abbiamo in Italia dei treni che vengono investiti dalle valanghe, non possiamo automaticamente dire che quello è colpa dei cambiamenti climatici, ma certamente nella prospettiva dei cambiamenti climatici quel genere di fenomeni diventerà sempre più diffuso. Allora, quello è un concreto campanello d’allarme, perché è costato la vita a tante persone, ed è una minaccia per chiunque viaggi, che ci spinge a dire che, in un sistema in cui le piogge cambiano, il ciclo idrico cambia, noi dobbiamo immaginare una maggiore garanzia per il sistema delle infrastrutture. Dobbiamo pensare che ci vogliono competenze tecniche avanzate nel calcolo delle variabili legate al caos climatico. Il caos climatico è una realtà già in corso e dovrebbe spingere i buoni amministratori a prevenire il danno, a prevenire i morti, e non a mettere i cerotti sui territori feriti da cambiamenti climatici che sono già stati ampiamente previsti e quindi sono prevedibili.

È possibile che questo sia causato, almeno in parte, da incompetenza politica sulla valutazione del rischio e la politica di prevenzione?

C’è un sistema culturale che è dipendente, almeno in parte, da un sistema energetico vecchio. C’è un link tra un mondo che, per più di mezzo secolo si è retto sulla forza del petrolio e ha costruito attorno a sé un sistema culturale, e dunque anche politico, e un sistema nuovo, basato sulle rinnovabili, sull’efficienza, sulla green economy, che sta nascendo e che acquista forza giorno dopo giorno. Il segno di questa battaglia è già dato, certamente vincerà la green economy perché è nella logica delle cose, lo dicono le previsioni delle grandi multinazionali del petrolio, che concordemente dicono che, attorno alla metà del secolo, probabilmente prima, il sole sarà la fonte energetica dominante. Quindi non c’è dubbio sull’esito di questo sviluppo di questa competizione industriale. Il punto è che da una certa parte, dalla parte di chi è interessato ancora a vendere il vecchio modello basato sui combustibili fossili e sulle industrie che sono poco attente all’efficienza, ecco questo cartello di forze ha interesse a proiettare tutto verso il futuro. Invece questa realtà è già legata al presente, è già una realtà dell’oggi. L’evoluzione della crisi in atto con il ruolo delle ristrutturazioni in campo ambientale che continuano ad aumentare, ad accelerare, dimostra che questo processo è sempre più visibile.

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