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“Hamlet Travestie” al Teatro Volta

Prendete l’Amleto shakespeariano, inseritelo in una struttura da commedia dell’arte, sfumatelo con echi parodici settecenteschi e attribuitegli una provenienza partenopea. Risultato? Una brillante ibridazione drammaturgica ha dato corpo all’Hamlet Travestie della Compagnia Punta Corsara. Nato per rispondere all’iniziativa del Teatro Franco Parenti in memoria dei 40 anni dell’Amleto di Testori, lo spettacolo della compagnia napoletana si è presto staccato dalla realtà milanese, attraversando la penisola per poi fare tappa al Teatro Volta di Pavia sabato 25 novembre.

La riscrittura dell’Amleto ha condensati in sé diversi riferimenti letterari: l’Hamlet Travestie di John Poole, versione burlata del testo elisabettiano, di cui lo spettacolo porta il nome, ma soprattutto il dottor Faust di Antonio Petito, noto pulcinella ottocentesco, compositore di canovacci e riscritture di tragedie in chiave farsesca. 24171647_486411975078294_780370843_nIl canovaccio di Petito è il modello da cui prende il via la storia della famiglia Barilotto, calata nella contemporaneità napoletana rappresentata senza edulcorazioni. Lo schema utilizzato è semplice: il protagonista, per un caso di omonimia, è convinto di essere il personaggio di un’opera letteraria, i parenti preoccupati inscenano le vicende dell’opera per farlo rinsavire.

Amleto Barilotto (Gianni Vast24204802_486412035078288_745575315_narella) è un ragazzo orfano di padre, con una famiglia sommersa dai debiti contratti con Don Gennaro e una fidanzata, Ornella (Valeria Pollice) prossima ad un parto non voluto. L’improvvisa convinzione di essere il principe di Danimarca porta i familiari a chiedere aiuto a Don Liborio (Emanuele Valenti): a scopo terapeutico si allestirà l’Amleto di Shakespeare. Al riparo dal mondo con una coperta da cui non si stacca, Amleto, eroe dissociato, decide di agire e compie un gesto di vendetta che porterà la famiglia alla rovina: uccide Don Gennaro.

La difficoltà nella comprensione integrale del napoletano è stata arginata dall’espressività corporea, dinamica e fresca, esibita dalla compagnia, e dall’aggiunta di irresistibili trovate registiche: gli stacchi coreutici con inserti di neo melodica napoletana si conquistano risate e restituiscono con fedeltà il contesto sottoproletario in cui vive la famiglia. Una scenografia povera, ma sfruttata in ogni suo potenziale, permette di spostarsi in diversi luoghi, basandosi solo sull’impiego di alcune panche: accatastandole, disponendole nello spazio secondo un ordine diverso diventano la bancarella dei Barilotto, lo spazio interno della casa, la prigione di Amleto.

La scena è un susseguirsi di lazzi, un’offerta continua di comicità, spezzata da uno sfondo di cupezza aleggiante: equilibrata commistione di tonalità che culmina nella coerente assenza di lieto fine.

La compagnia, di cui fanno parte anche Christian Giroso  (zio e spettro paterno) Giuseppina Cervizzi (la madre di Amleto) e Carmine Paternoster (il figlio di Don Liborio) è nata all’interno di un progetto a scopo sociale: aprire una scuola di teatro nel difficile quartiere di Scampia per favorire l’emancipazione giovanile. E’ pertinente tracciare un parallelismo col quartiere Scala, per il quale si vede nel teatro una forma di terapia: l’incontro con la compagnia partenopea fortifica questa visione lasciando lecitamente pensare che la strada intrapresa dal teatro Volta stia andando nella giusta direzione.

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