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#echoes: Daniele Silvestri

Daniele Silvestri è uno di quegli artisti al quale ti affezioni incondizionatamente. Perché ti risulta sincero e completamente consapevole di quello che dice e di come lo dice. A questo aggiungete il fatto che possiede un talento imbarazzante, a dimostrazione che ancora oggi si può essere artisti di successo per meriti e grazie all’attitudine con la quale si affronta l’essere musicista. Uno di quei pochi artisti che mette d’accordo il mondo cosiddetto mainstream e quello underground (per quanto in questo periodo di crisi della discografia la differenza diventa sempre più sottile). E mantiene questa sua unicità grazie alla capacità che ha di raccontare le storie di vita quotidiana, dote che difficilmente si ritrova quest’oggi nel cantautorato italiano. Tutti questi aspetti hanno fatto di Daniele Silvestri una delle punte di diamante della musica italiana.

Esordisce con l’album omonimo nel 1994 per il quale riceve il premio Tenco come miglior album d’esordio. Con gli album Prima di essere un uomo e Il Dado raggiunge una discreta notorietà e si impone come uno dei miglior prospetti cantautorali del momento. Un percorso simile a quello di altri esponenti della “scuola romana” che annovera nomi come Max Gazzè, Niccolo Fabi o Riccardo Senigallia..
Ancor di più per il fatto che nel 2014 collabora con Fabi e Gazzè alla realizzazione dell’album Il Padrone della Festa (disco meraviglioso che non escludo possa essere una delle prossime proposte di questa rubrica). Tornando a noi, la piena notorietà Silvestri la raggiunge nel 2002 con l’uscita di Unò-Duè e con il brano Salirò che ottenne un successo di pubblico eccezionale. L’album è impreziosito da brani come Sempre di Domenica, l’autobiografica L’Autostrada, Il mio nemico, canzone contro i meccanismi perversi del potere e Il Colore del Mondo, sublime esempio di come si possa scrivere di relazioni amorose senza cadere nella prevedibilità e nel sentimentalismo fino a se stesso. E anche se è l’album che preferisco di Silvestri, nell’ultimo periodo sono rimasto rapito dal suo ultimo lavoro, che lo stesso musicista romano considera il suo album più riuscito. Sto ovviamente parlando di Acrobati.

Un disco che mantiene tutte le peculiarità dello stile di Silvestri, ovvero i suoi testi ispirati, ironici, didascalici o enigmatici coadiuvati perfettamente con i suoi giochi a incastro . Un album che parla meno, rispetto ai precedenti, di attualità ed amore, anche se vi si possono trovare riferimenti a proposito. Per esempio nella seconda traccia del disco Quali Alibi, in cui Silvestri se la prende con l’emergenzialità che contraddistingue la politica italiana, nel quale tutto viene affrontato con superficialità e poco raziocinio. Seguono un serie di diapositive che vanno dalla monologo di una donna straziata dall’immobilità della sua vita (Monolocale) alla frizzantezza de La Guerra del Sale con uno sfrenato Caparezza che come sempre ti stordisce con le sue rime e da Roy Paci e la sua inconfondibile tromba. Da ricordare l’atmosfera beat del brano L’orologio, l’incantevole A Dispetto dei Pronostici (il mio brano preferito del disco) e la bellissima Spengo La Luce impreziosita dalla collaborazione di Roberto Dell’Era.
Un album in cui si percepisce la libertà e la spensieratezza con il quale è stato registrato, come se Silvestri con Acrobati volesse togliersi qualche sfizio che fino ad oggi non era riuscito a soddisfare. Beh che dire: il disco è davvero riuscito bene, e soprattutto è un’ulteriore prova dell’incredibile talento del compositore romano. Io da fan non avevo dubbi, e sapevo che ne sarei rimasto soddisfatto. E spero che anche per voi sarà la stessa cosa. Speranzoso che anche oggi la mia proposta sia stata di vostro gradimento, vi auguro un buon ascolto. Alla prossima!

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