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“Surreale, ma bello”: i 22 anni di Notting Hill

Come in una basilare equazione matematica, a ogni decennio della storia si può far corrispondere proporzionalmente una particolare caratteristica. Come il rock ‘n’ roll sta agli anni ’70 e improbabili acconciature stanno agli anni ’80, così indimenticabili commedie romantiche stanno agli anni ’90. Ci sono però in questo assioma delle differenze: il rock non morirà mai (ultimi ad averlo ribadito degli spettacolari Maneskin all’Eurovision), al contrario i capelli cotonati speriamo che rimangano nella memoria collettiva come grande errore da non ripetere.
E le commedie romantiche? Sono una via di mezzo: il loro ritorno è improbabile – intendiamoci, i film romantici ci sono tutt’ora, ma il mood non potrà mai più essere lo stesso – e allo stesso tempo sono destinate non solo a non morire, ma a lasciare un segno in chiunque si approcci a loro, perché hanno cambiato un’intera generazione, e non si fermeranno. Così un Millennial che riguarda le pazze relazioni di Bridget Jones, o una nonna che si scandalizza alla scena della cena in “Harry ti presento Sally”, o un ragazzo che vede per la prima volta “Pretty Woman” hanno tutti in comune un’utopica visione del mondo, in cui l‘amore vince su tutto – ma proprio tutto tutto.

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Meg Ryan e Billy Crystal in una scena di “Harry ti presento Sally” (1989)

Vari sono stati i contributi, ma il capolavoro che racchiude in sé perfettamente tutte le caratteristiche del genere è Notting Hill (1999). Il film, uscito nelle sale italiane esattamente 22 anni fa, ha come protagonisti Julia Roberts e Hugh Grant e si sviluppa su una trama che, non è difficile ammetterlo, non è originalissima: un incontro – e poi una travagliata storia d’amore – tra una star di Hollywood, Anna Scott, e William Thacker, un libraio che lavora in una “libreria che vende solo libri per viaggi” a Notting Hill, uno storico quartiere di Londra. Quello però che rende questo film iconico è la capacità che ha di farci immedesimare in chiunque ci presenti davanti, e in qualsiasi situazione. Per buona parte del film siamo William: ha una vita piuttosto comune, vive con un coinquilino pazzo da quando la moglie lo ha lasciato, ha pochi amici (tra cui sua sorella e una meravigliosa coppia, formata però dal suo migliore amico e dalla sua ex) e la sua attività non è esattamente florida. Si prende poi una cotta per una attrice apparentemente irraggiungibile, che lo farà finire in molte situazioni imbarazzanti. Insomma, non sarà stato con qualcuno di famoso, ma chiunque di noi può immedesimarsi in tutto questo. Oltre a lui, noi siamo i suoi amici, uno strano gruppo di persone sfortunate che si vogliono bene, e che si sfidano a chi ha la storia più deprimente di tutti per l’ultima fetta di torta rimasta ad una cena. Ma nella scena più iconica dell’intero film succede anche che la situazione si ribalti completamente: noi diventiamo improvvisamente Anna. Nel suo commovente discorso (“sono anche una semplice ragazza, che sta di fronte ad un ragazzo, e gli sta chiedendo di amarla”) colei che per tutto il film ha simboleggiato l’irraggiungibile speranza viene ripresa in una chiave completamente diversa: non è più la star di Hollywood, ma è una persona comune, che finalmente ha trovato un amore sincero e degli amici veri, e non vuole rinunciarvi. Non ci sono buoni, non ci sono cattivi, sono tutte persone comuni, e questo rende lo spettatore ancora più partecipe e immerso nella storia.

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Hugh Grant e Julia Roberts in una scena del film

Questo non basta: il regista Roger Michell decide di ambientarlo in uno dei quartieri più frizzanti di Londra, Notting Hill, che non si fa nemmeno per un secondo rubare la scena. Ed è proprio per questo che il film è ad esso intitolato, perchè il vero protagonista è in lui: è nel mercato di antiquariato, nelle case con le porte colorate, nei negozi stravaganti, nelle persone che ci vivono. La stessa storia e gli stessi personaggi non avrebbero avuto così tanto successo se non fosse stato per questo angolo di città scovato e reso ormai meta romantica per eccellenza.
Tutto viene celebrato dalle colonne sonore scelte, da “Ain’t no sunshine” di Bill Withers che, insieme a “How can you mend a broken heart” dei Bee Gees, dà inizio ad una perfetta playlist da breakup. Oppure “She”, rivisitazione di Elvis Costello del brano di Charles Aznavour “Tous le visages de l’amour” che accompagna la scena d’apertura dell’intero film, una vera e propria dichiarazione d’amore per Julia Roberts, le cui immagini scorrono quasi cullate dalla musica.

A pochi giorni dalla scomparsa del regista Roger Michell, avvenuta il 20 settembre scorso, è quindi doveroso un immenso grazie per il capolavoro che ci ha lasciato. Un’intera generazione è stata plasmata dalle alte aspettative sull’amore che questo film ci dà, e non sarà la sola. E così può essere inserita nell’assioma di “cosa ci hanno lasciato gli anni ’90” un’altra equazione: Irruzione in un parco privato al suon di “perdindirindina” + “When you say nothing at all” che suona da chissà dove = forse è quell* giust*.
(Oppure è chi ti regala un dipinto originale di Chagall?)

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