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Yes, He did

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[celebrazioni spontanee a San Francisco, quartiere Castro, per la vittoria di Obama]

di Alberto Scaravaggi, San Francisco, Stati Uniti

Noah: «Sembrava la liberazione da una guerra..»;
Kathe: «Posso restare nel mio Paese, non mi sembra più un posto dal quale è meglio fuggire. Ora dobbiamo lavorare con lui per un’America migliore!»;
Vanessa: «Sì, ce l’abbiamo fatta. Ho chiamato la mia famiglia e abbiamo festeggiato…».
Ascoltando alcuni commenti dei miei compagni di corso, presso la San Francisco State University, ho capito che non c’è stato nulla di ordinario in queste elezioni politiche americane: il 4 Novembre si è scritta la storia. L’elezione di Barack Obama a 44mo Presidente degli Stati Uniti non è diversa solo perché egli è nero. Sarebbe riduttivo pensare che tutti gli sforzi di quest’uomo abbiano voluto dimostrare che le barriere razziali sono cadute in America. A far questo ci hanno già pensato altri grandi uomini, prima di Obama. Sono piuttosto le sue idee, i suoi propositi che gli hanno permesso di raggiungere il massimo grado di riconoscimento e di potere in una Nazione. Questioni come il miglioramento dell’assistenza sociale (sanità, pensioni e scuole), l’attenzione all’ambiente o regole migliori per la finanza, sono state essenzialmente ignorate negli otto anni della Presidenza Bush. Finalmente gli Stati Uniti hanno deciso di sincronizzare il loro Presidente alla vita reale e ai problemi di oggi, consegnando al mondo una suprema prova di democrazia.  Un uomo ed una famiglia molto diversa dalla precedente entreranno alla Casa Bianca: due figlie piccole, Shasha e Malia, ed una moglie, Michelle, alla quale gli americani non potranno, di certo, chiedere di preparare i biscotti il sabato pomeriggio. Piuttosto, dal suo esempio di donna contemporanea, potranno capire come si sostiene e si motiva un uomo.

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