Birdmen

Heroes e i ragazzi dello zoo di Berlino

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               a cura di Gabriele Citro e Giovanni Neri

Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è un film tratto dall’omonimo romanzo del 1978 di Kai Hermann e Horst Rieck, ispirato alla storia vera di Christiane Vera Felscherinow, diretto da Uli Edel e interpretato da Natja Brunckhorst. La pellicola uscì nelle sale nel 1981 ed è ambientato tra il 1975 e il 1977. Siamo negli anni di una perdurante spinta hippie, dove la droga mieteva adepti distruggendo la vita, spesso, di giovanissimi ragazze e ragazzi. Immaginatevi quindi quella verve che ha accompagnato la fine degli anni 60′, dove gli acidi e l’eroina fungevano da compagne burlone di una rivoluzione sociale, ma che dopo anni, risultò  essere esattrice impietosa del prezzo pagato con la vita di giovani tossico-dipendenti.

Immaginatevi poi un luogo dove la vita inizia a perdere contatto, in una società dove si palesa sempre più la differenza tra chi “vive” e  chi “sopravvive”, collocando -appunto – la storia in un crudele binomio tra un quartiere dormitorio, come quello che poteva essere negli anni ’70 Gropiusstadt (Berlino), e una discoteca (S.O.U.N.D.) luogo franco, paradiso di sostanze proibite e di giovani persi senza alcuna spinta o ideale, se non quella di perdizione, di assuefazione, di morte confusa con libertà. La storia parla di una giovane ragazza, nel pieno della adolescenza, con una storia familiare vicina alla sorte di così tante famiglie (ancor più attuale di quanto lo fosse al tempo), figlia di genitori divorziati (separata dalla sorella più piccola) che per un desiderio assolutamente comune, di una giovane ragazza che vive nel mito del suo cantante preferito, sente l’esigenza di nuove esperienze (una giovane che cerca costantemente di avvicinarsi al proibito), avvicinandosi a quel punto di ritrovo – ironia della sorte – causa della sua perdizione.

Manco a dirlo siamo negli anni di “gente” come David Bowie, come Lou Reed, storie incredibili, geni della musica di quegli anni e di ogni epoca, e il contesto è dei più crudeli, poichè da una parte ci troviamo capolavori come Heroes o Heroin, frutto certamente, anche solo in parte, di uno stile di vita portato al limite e costretto al fondo, e dall’altra la faccia più triste di quella moneta, la vita di giovani che illusi dall’esigenza di eccesso, mito della rockstar, si trovano prima incatenati e poi sottratti alla vita da quella sostanza che si erge a salvatrice eroina.

 

David Bowie interpreta se stesso nel film in un breve cameo, e l’intera colonna sonora è stata prodotta attraverso l’utilizzo di sue canzoni registrate proprio tra il ’75 e il ’78. Tra queste ce n’è una che rappresenta più delle altre l’aspetto emblematico e ideale della pellicola (la canzone è infatti ripetuta, anche in tedesco, più volte durante la rappresentazione); non per altro è nell’ultima strofa, così orribilmente pragmatica, che il significante della pellicola stessa si viene a mostrare :

“We’re nothing, and nothing will help us

Maybe we’re lying, then you better not stay

But we could be safer, just for one day…”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *