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Stones: un modo inedito di raccontare la shoah

Riconosciuto, nel 2007, come uno dei dieci migliori spettacoli teatrali in tutto il mondo dal Comitato artistico di Westfalia, dopo aver collezionato una serie di successi internazionali, Stones approda al Milano Off Festival, dove resterà fino al 18 giugno presso il Teatro Verdi.

Creato dalla compagnia israeliana ORTO-DA, Stones è una rappresentazione mimica basata sulla precisione del movimento, virtuosismo nella manipolazione degli oggetti ed un magistrale impiego di luci e suoni.

Un pannello alto e largo al centro della scena ricalca lo sfondo del monumento esposto fuori dal Ghetto di Varsavia, su cui sono scolpite sei persone ed un neonato.

Riproducendo le posizioni dei soggetti in rilievo, sei attori fanno il loro ingresso sul palco, preceduti da una voce fuori campo che spiega la storia del monumento: reperito in Svezia, il blocco da cui è stato ricavato era stato inizialmente destinato alla celebrazione del Reich; qualche anno più tardi, nel 1946, a Nathan Rapport viene commissionata la creazione di un’opera in memoria della Resistenza del Ghetto, e, così, da quella stessa lastra, prende vita, nel 1948, il Monumento all’insurrezione di Varsavia.

Risvegliate dal torpore decennale, le sei figure si animano, dando vita a situazioni il cui denominatore comune è la persecuzione del popolo ebraico, con una resa davvero poco convenzionale: “contrasto” è il termine di cui servirsi per catturare l’essenza della performance, e si presta ad una lettura su più piani.

Nell’immediatezza visiva, i corpi degli attori, che riproducono il colore scuro della pietra lasciando scoperto il contorno degli occhi ed accentuando il bianco dei denti, mostrano un’espressività esasperata, a tratti parossistica.

La musica ed i suoni, costante accompagnamento per lo spettacolo, sono un continuo alternarsi di cupezza ed ironia, un amalgama fra rumore di spari e discorsi del Fuehrer, sigle dei cartoon e musica dance.

Manifestazioni queste di un contrasto di fondo che attraversa l’opera: una dimensione d’umorismo clownistico calato in un contesto il cui senso di orrore resta ben radicato sullo sfondo: così il filo spinato diventa il terreno per una partita a tris, Hitler il fantoccio per sedare il pianto di un bambino e le stelle di David danno corpo ad una notte luminosa. L’intento, lontano dal voler stemperare la tragicità della realtà con il grottesco, mira a creare una dialettica tra queste due polarità, dando alla risata una sfumatura amara.

Difficilmente identificabile come narrazione lineare, l’opera sviluppa una sequenza di immagini fortemente suggestive, in cui gli oggetti di scena, grazie all’abilità attoriale che li manovra, sembrano acquisire vita autonoma, divenendo parte integrante della pièce, lontani dal ruolo decorativo per cui solitamente vengono pensati.

Tra ortodossia e dadaismo, con un piede nella tradizione e lo sguardo proiettato verso nuovi linguaggi espressivi, ORTO-DA realizza una poesia per immagini in cui umorismo ed inquietudine si fondono, dando vita ad uno spettacolo di rara originalità e dal meritato plauso.

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