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Nerve: vuoi essere spettatore o giocatore?

Un anno dopo rispetto agli Stati Uniti, esce oggi nelle sale italiane Nerve (qui il trailer) – adattamento dell’omonimo romanzo di Jeanne Ryan (2012) – diretto da Henry Joost e Ariel Schulman.

Vee (Emma Roberts), diciassettenne mai uscita dalla confort zone, decide di iscriversi a Nerve, un gioco di ruolo online: puoi scegliere se essere giocatore o spettatore; se scegli di giocare, il pubblico creerà – sulla base delle informazioni da te inserite in rete tramite i social – delle prove da completare, in cambio di denaro, oggetti desiderati e tanta popolarità.
In linea teorica, un film indipendente che promette di trattare un tema “alla Black Mirror” come la degenerazione che un certo uso della tecnologia comporta, e che viene distribuito a ridosso dell’esplosione del caso Blue Whale – con cui il gioco fittizio del film condivide il meccanismo della sfida –  può destare un certo interesse, tanto più quando, come in questo caso, i registi hanno già avuto modo di confrontarsi in passato con il tema social nel documentario Catfish (2010).
Nella pratica, il film, che si propone, a detta di molti, come un thriller adrenalinico – dopo un inizio plausibile – va a perdere il suo potenziale, trasformandosi in un dimenticabile teen movie. Vediamo perché:

1. La scelta degli attori

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Pur funzionando nel complesso della pellicola, siamo di fronte al classico caso in cui ad interpretare dei sedicenni sono attori che anagraficamente hanno minimo dieci anni in più, risultando presto servito l’effetto dawson casting.

2. Originalità

Non c’è nulla che non sia già stato visto: Vee è la classica ragazza che vive nell’ombra dell’amica popolare – ovviamente una cheerleader – ed è innamorata, non ricambiata, del ragazzo più carino della scuola che, altrettanto ovviamente, non può che essere il giocatore di punta della squadra di football. Gli stereotipi non finiscono qui e, quando il migliore amico di Vee – un nerd innamorato di lei – viene chiamato giovane jedi, la tentazione di terminare la visione è tanta.

3. Gestione delle vicende

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In un’ora e mezza vengono accennate molte sottotrame, sebbene nessuna di queste sia poi sviluppata e, se la pellicola vuole condannare le gesta di alcuni giovani che, sconsideratamente, per ottenere popolarità e like, arrivano persino a filmarsi sui binari in attesa del passaggio di un treno, finisce per rimetterci in verosimiglianza quando sono inscenate situazioni improbabili e piene di cliché, come la folle corsa in moto alle spalle di un Dave Franco bendato (fratello di James Franco) – che diventa mera occasione di sviluppo della love story tra i protagonisti – o come la folle corsa contro il tempo dell’amico nerd per salvare il mondo da quel gioco perverso.

4. La morale

Giocatori e spettatori sono fungibili tra loro: non è tanto differente compiere un’azione sbagliata dal non impedirla o, addirittura provare piacere nel rimanere a guardare al sicuro (o quello che sembra sicuro) dietro uno schermo. L’intento responsabilizzante di per sé può essere anche considerato apprezzabile; ciò che risulta ridondante e debole è, ancora una volta, la sceneggiatura: se un messaggio analogo passa infatti nel 3° episodio della 3ª stagione di Black Mirror (Zitto e balla ndr) evitando spiegazioni moralistiche, qui queste ultime vengono affidate alle parole della protagonista. Sarebbe bastato il silenzio, magari accompagnato musicalmente, anche se, – a ben vedere – se il comparto musicale è affidato a canzoni pop di seconda categoria, rimane preferibile la morale esplicitata.

5. La resa visiva

Gli espedienti visivi per rendere il gioco sullo schermo e la fotografia risultano centrati per questa tipologia di film. Non bastano però l’ambientazione notturna, migliaia di luci al neon supercolorate e una moto – anch’essa con led – per citare la Hong Kong resa da Wong Kar wai in Angeli Perduti (1995).

A conti fatti, Nerve risulta nulla più che un film di intrattenimento estivo che si lascia intrappolare da dinamiche romantico-adolescenziali e, proprio per questo, spreca l’occasione di comunicare qualcosa di concreto, non raggiungendo la sufficienza.

Chiara Turco

Chiara Turco nasce a Pavia il 23 agosto 1993. Frequenta il liceo scientifico "C. Golgi" di Broni (PV), diplomandosi nel 2012. Nel febbraio 2018 consegue la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Pavia. Appassionata di Cinema, diventa redattrice di Birdmen nel dicembre 2016, per poi successivamente occuparsi anche dell'ambito social network.

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