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InChiostroVeritas (29) – Odi et amo della solitudine

Una serie di esperienze, dibattiti, considerazioni personali portano questa settimana InChiostroVeritas a condurre una riflessione sulla solitudine. Una riflessione agrodolce che a tratti si condisce di necessità, a tratti fa male e basta, e allora c’è il rischio concreto che si trasformi in dolore.

Infatti, anche se viviamo nella società delle consonanti TV e SocialNetwork, dove per non essere soli basta premere su “mi piace” oppure fare la foto al sushi, la solitudine esiste e ingrigisce il temperamento di molti. Da un lato quindi sembra essere una delle disgrazie più grandi della terra perché, come mi ha insegnato Hegel, alcune volte se non c’è almeno un’altra persona a vedere ciò che stai vedendo tu, quella cosa potrebbe addirittura correre il rischio di non esistere neanche. In questo modo “condividere” diventa condizione fondamentale per l’esistenza. Se nessuno ti ascolta o sa del successo scolastico che hai ottenuto, di quel libro trovato in libreria che ti ha cambiato profondamente, dell’amicizia tradita, della difficoltà enorme che stai affrontando hai la sensazione di avere tutto il peso del mondo addosso. Sei una pentola a pressione ripiena solo dei tuoi pensieri, di cui tutti sembrano essersi dimenticati. E le pentole a pressione, se le lasci troppo tempo sul fuoco, poi esplodono e allora è troppo tardi. Per questo la solitudine la odi, la detesti con ogni fibra del tuo essere.
Ma non finisce qui. Perché, in più di un’occasione, la solitudine non solo è utile, ma necessaria. È condizione fondante per attivare la propria riflessività e la propria moralità. Solamente quando sei solo con te stesso infatti puoi pensare veramente, puoi capire nuovi e fondamentali aspetti di te e magari prendere una decisione importante per la tua vita. La solitudine diventa in questa prospettiva la casa sull’albero dove non ci sono regole che non siano le tue: sei tu a decidere quali pensieri possono entrare, quali devono uscire velocemente perché fanno troppo male e tornare più tardi. Sei lontano dal mondo e il silenzio ti permettere di fare qualcosa che sembra essere dimenticato: interrogarti, porti delle domande. E non intendo le domande sulla preferenza del dolce o il salato, l’azzurro o il blu, lo zaino o la borsa, la pasta corta o quella lunga. Penso piuttosto a quelle che forse sono proprio le “domande della solitudine”: «Che cosa voglio da questa vita? Cosa voglio diventare? Cosa mi rende veramente felice?». Questa è senza dubbio la solitudine da amare. Quella che ci rende responsabili, la puntura che in un primo momento fa male, però poi ti salva da gravi malattie come quella del rimpianto, che per tutta la vita ti avrebbe costretto e a guardare indietro formulando frasi piene di se e condizionali: «Se avessi… Certo che se…. Avrei potuto… Avrei…».

Un odi et amo, ecco cos’è la solitudine. Antipatica e rincuorante. Desolata e affollata. Inquietudine e sollievo. E forse il segreto su come gestirla è già contenuto in questo pensiero: se hai il coraggio di concederti un po’ di solitudine buona, quella “da amare”, quella che ti fa pensare, allora le riflessioni che sono scaturite da quel momento ti faranno vivere meglio anche la solitudine straziante che odi con tutto te stesso.

inchiostroveritas@gmail.com
@ChiostroVeritas

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