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Utah non molla, Cavs svoltano.

Il primo turno di playoff, i quarti, è ormai passato, e a continuare il cammino verso il Larry O’Brian Trophey non troviamo sorprese, come da tradizione playoff. Perché alla fine, per portarsi a casa una serie servono 4 vittorie. Impresa ardua puntando solo sulla fortuna. Per arrivare fino alle Finals e poter così competere per il titolo di migliore squadra del globo terracqueo, servono costanza e solidità. Caratteristiche che riscontriamo in tutte le franchigie che sono approdate alle semifinali.

Partiamo analizzando la situazione dei campioni in carica: gli Warriors. Curry e compagni devono affrontare i Pelicans di Anthony Davis e dell’ex Warriors Gentry. Per Nola è un all-in già in partenza: non vedono le semifinali dal 2008 e da questo momento in poi hanno solo che da guadagnare e niente da perdere. Questo è un fattore da tenere molto in considerazione perché se scendi in campo con il pensiero che quella potrebbe essere la tua ultima partita di playoff, beh, giochi diversamente. Golden State strapazza comunque New Orleans in gara 1, imponendosi di forza e con i numeri: Durant 26 punti, Thompson 27 e tripla doppia di un Green vero trascinatore. Davis ne mette comunque 21, quindi non un eccezionale lavoro da parte della difesa del team della Baia. In gara 2 Curry è pronto a tornare e lo fa dimostrando a tutti di potersi ancora caricare sulle spalle gli Warriors e portarli alla vittoria: già nei primi 10 secondi in cui scende in campo insacca subito una tripla, e da lì la strada è tutta in discesa. Steph chiuderà a quota 29, Durant a 28 e Green che flirta con la tripla doppia. La serie sembra avviata verso una fine scontata, ma dai Pelicans bisogna sempre aspettarsi risvegli e sorprese.

Anche i Cavs del Re proseguono la loro marcia trionfale verso le finali, facendosi cogliere in fallo soltanto in gara 6 contro i Pacers: Oladipo è indemoniato e segna a referto una tripla doppia da 28 punti e 13 rimbalzi, il supporting cast di James si fa trovare impreparato nei momenti salienti della partita e lo stesso LeBron è giù di tono rispetto agli standard a cui ci ha abituati e chiude solo a quota 22 punti. Poi qualcosa in Ohio cambia e da gara 7 contro Indiana James ingrana le marce alte e decide che il titolo va portato a casa ancora una volta: 45 punti in gara 7, vero leader e motivatore, riesce a tirar fuori il meglio anche dai compagni (Thompson finora poco usato chiuderà a quota 15 punti) e soprattutto si lascia aiutare, dando finalmente fiducia ai compagni. Questa è la chiave del cambiamento d’ora in poi. Anche in gara 1 contro i Raptors, nonostante a referto sia segnata una tripla doppia spettacolare, James non gioca da solo ma si affida spesso ai compagni, gli costruisce azioni e vede per loro passaggi e occasioni come pochi altri saprebbero fare. Altra chiave di volta è sicuramente il risveglio di Love che in gara 2 (oltre ai 43 punti di Lebron) piazza 31 punti e 11 rimbalzi fondamentali per la seconda vittoria consecutiva in semifinale. Cavs ormai avviati sui binari giusti verso le Finals, ma sicuramente i Raptors non si daranno per vinti così in fretta.

La sorpresa-non sorpresa è invece quella di Utah. Perché se a inizio stagione si pensava che, con Mitchell alla guida, questi Jazz sarebbero andati lontano, comunque non ci si sarebbe mai aspettato così lontano. Con una serata show da 38 punti infatti Mitchell e compagni buttano i Thunder fuori dai playoff e passano alle semifinali in cui devono affrontare i Rockets. Impresa ardua, certo, ma niente è impossibile per questi Jazz: nonostante la sconfitta in gara 1 faccia trasparire i punti deboli di una franchigia che dipende ossessivamente dai giocatori del quintetto principale (tanto che la sola mancanza di Rubio fa perdere la bussola a tutta la squadra) ed evidenzi i pregi dei Rockets, che possono tranquillamente dare la palla in mano ad Harden e lasciare che faccia tutto da solo, in gara 2 Utah mette in campo la sua vera pallacanestro, il marchio di fabbrica dell’orgoglio dei mormoni: l’autentica pallacanestro corale, di squadra. È proprio questa la chiave di volta che permette ai Jazz di portare la serie sull’1-1. Lo dimostra il fatto che Mitchell non debba fare gli straordinari (chiuderà a soli 17 punti) per mettere una W a referto. Sicuramente Houston è molti scalini sopra, ma Utah resta comunque un osso duro e ad Harden e compagni toccherà sudare e non poco per passare la serie.

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