Musica

Mozart: quel dannato genietto austriaco

Una delle prime cose che un musicista si sente dire appena impara a suonare è che quando ci si trova ad affrontare un compositore per la prima volta, si deve cercare, per riuscire poi a interpretarne i brani nel migliore dei modi, di carpirne l’essenza, i principi, la forma mentis, la modalità di composizione e, soprattutto, l’universo interiore, per entrarci in sintonia e farlo collidere, e poi collimare, con il proprio. La modalità più utile e divertente per farlo è assegnare a ciascun compositore un colore e un tempo musicale, creando associazioni con pensieri, percezioni, emozioni. Tra l’azzurro “carta da zucchero”, dolce e un po’ Rubato di Chopin, il viola denso, cupo e Maestoso di Beethoven e il grigio razionale, calcolatore, slegato, ma Mosso di Bach, a Wolfang Amadeus Mozart, assegnerei un rosso sgargiante, furbo, impertinente, incalzante. Se quel dannato genietto austriaco fosse tratteggiato su uno spartito tra le cinque righe di un pentagramma, sarebbe una lunga cordata di sedicesimi che si rincorrono tra salite e discese, staccandosi improvvisamente di tanto in tanto, in uno sfiancante Allegretto. Un odioso quanto assuefacente motivetto che come i tasti del clavicembalo sulle corde, ti martella nella testa fino a che non ti ritrovi a impararlo a memoria. Tanti conosceranno le prime righe del terzo movimento della “Sonata n. 11 in La Maggiore”, conosciuto comunemente come “Marcia, o Rondò, alla turca”; o le strofe più famose de “Le nozze di Figaro”, de “Il flauto magico” o del “Don Giovanni”.

Wolfang nacque a Salisburgo il 27 gennaio del 1756 da due genitori severi, ma visionari, i quali, fin da subito, avevano capito che quel pargoletto sarebbe stato destinato a grandi cose. Quasi tutti da bambini hanno ricevuto tra i primi regali di Natale una di quelle pianole da un’ottava, quelle che puntualmente si suonavano con i due indici schiacciando a caso i tasti senza sapere minimamente che cosa volessero dire, e perché producessero un suono diverso. Mozart a tre anni imparò a suonare il clavicembalo e a cinque compose le sue prime opere, Allegretti, Minuetti, Andanti: un (ben poco) infantile e incredibile esercizio della sua dote straordinaria. Un bambino, e musicista, prodigio, che suonava e componeva sfruttando l’orecchio assoluto, lo stesso che gli permise, durante uno dei suoi viaggi in Italia, di riscrivere e riprodurre senza essere in possesso di alcuno spartito il Miserere di Gregorio Allegri, suonato nella Cappella Sistina e che era severamente vietato portare al di fuori delle mura vaticane.

Il giovane Wolfang scriveva per tutti, ovunque e per qualsiasi strumento. Le sue opere sono state raccolte in veri e propri cataloghi, visti i numeri imponenti. Il più famoso è quello di Köchel: più di 100 opere ordinate cronologicamente e accompagnate da sigle indicanti organico strumentale, tonalità ed edizione. Dall’arpa al trombone, dal mandolino al glockenspiel, dal controfagotto alla ghironda, nessuno strumento escluso, dai più ai meno tradizionali. Tratto distintivo del compositore austriaco, la sua concezione di ritmi e tempi: non soddisfatto della combinazione già esistente dei vocaboli, coniava apposta neologismi con i quali definire i suoi andamenti: l’”Allegretto grazioso, ma non troppo presto, però non troppo adagio”, uno tra i più famosi. Tanti strumenti, tanti tempi, ma anche tanti generi musicali sperimentati: Mozart scrisse di tutto, dalle sonate, ai concerti, ai minuetti; marce, composizioni sacre, opere. E da ciascuno dei suoi esperimenti, un successo dopo l’altro, trapela la classicità, la pulizia, la chiarezza dello stile “galante” di cui lui, insieme agli altri maggiori compositori del XVIII secolo, fu rappresentante.

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E pensare che visse solo fino a 35 anni: non si hanno informazioni certe riguardo la causa del decesso, ma pare si fosse ammalato di una qualche patologia infettiva (febbre, sifilide…) o, addirittura, qualcuno millanta si sia trattato di avvelenamento da parte di un rivale. Ciò che invece è sicuro, è che la sua fu una sepoltura comune: tuttora, benché si sappia il luogo nel quale il corpo si trova, non si ha certezza della posizione precisa. Assurdo, penseranno in molti, vista la grandezza della sua persona e della sua opera musicale. Tuttavia, testimonianze dell’epoca sostengono che negli ultimi anni l’artista avesse sperperato il suo patrimonio e non fosse più tanto apprezzato e di successo: la svolta avvenne in particolare quando decise di smettere di lavorare come musicista di corte per darsi alla vita da “libero professionista”. Anche in questo, il giovane Mozart fu un pioniere: prima di allora non era mai successo che un interprete decidesse di allontanarsi dalle corti aristocratiche, dove doveva lavorare sottoposto alle decisioni dei signori di turno ma perlomeno retribuito e stimato, per darsi a quella vita da artista che noi conosciamo e riteniamo scontata oggi. Girò l’Europa e soprattutto visitò l’Italia da Nord a Sud, prediligendo nei suoi viaggi Milano e Roma ed entrando in contatto con i maggiori compositori nostrani dell’epoca, tra cui Antonio Salieri, colui che secondo leggende e aneddoti sopracitati, lo avrebbe poi avvelenato.

La figura di Wolfang Amadeus Mozart, avvolta da un’aura romantica di mistero, può essere considerata emblema di genialità, innovazione e perfezione uniche nella storia della musica. Amato e odiato dai musicisti di ogni tempo che hanno cercato di “azzeccare” le sue complicatissime combinazioni di trentaduesimi, i suoi tre/ottavi; trasferire nelle loro dita il suo tocco deciso, scattante, perentorio; immedesimarsi nell’anima e nella vita di un giovane genio, brillante, eccezionale, osannato da tutti, ma incredibilmente solo. Come del resto molti dei geni che la storia dell’umanità ha conosciuto. Protagonista del passato, ma certamente anche del presente e del futuro, nella mente e nelle mani di chi cercherà di dipingere e riprodurre le sue note con il colore giusto, della perfetta tonalità, in ogni sua sfumatura di emozione.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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