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Intervista a Michele Serra/1

di Nicolò Carboni e Giacomo Onorati 

Michele

Inchiostro: Buongiorno signor Serra, l’atmosfera qui è davvero bella, sembra una specie di Woodstock del giornalismo [Serra: Si, ma con meno circolazione di sostanze stupefacenti!], però abbiamo notato che, finora, nessun relatore nessun giornalista ha parlato bene del nostro settore. Questo cosa può significare?

Serra: Io ieri ho provato a parlare bene del mestiere, ho consigliato ai giovani di ignorare le condizioni oggettive del giornalismo, che sono terribili. Fate finta che non esistano, fingete che non esista la libertà, che non esista l’accesso alla professione e pretendete molto da voi stessi. So che sembra molto una banalità retorica, però è l’unica cosa che sento di dover dire in questo momento. In realtà il mestiere è bellissimo, ti mette a contatto con ambienti e con mondi che mai ci si aspetterebbe. Per dire, quando ho intervistato Guccini, per me è stato come se San Pietro mi avesse fatto entrare in Paradiso. Per me era più di dio, prova a immaginare, tutti i dischi, le canzoni imparate a memoria, la chitarra…e improvvisamente mi trovo a tavola con lui a intervistarlo. Lo so che è sciocco da dire ma il giornalismo è come un veicolo che ti porta in giro per il mondo, certo, non per tutti è così, a volte è frustrante perché ti ritrovi a fare il taglia e cuci e c’è una gavetta massacrante. Le condizioni oggettive, realisticamente sono tremende perché, oltre ai soliti discorsi sulla proprietà e sul conflitto di interessi, il condizionamento pubblicitario è diventato molto peggiore rispetto a quando ho cominciato io. Trent’anni fa la pubblicità era una componente, importante certo, ma una componente, adesso, come dice Giorgio Bocca, la pubblicità è il vero editore, perché comanda, ha il rubinetto in mano. Poi ci sono altri elementi fortissimi di condizionamento psicologico, politico, economico però che dire, l’unico trucco è quello che ho detto prima, ci vuole una specie di “pensiero magico”, far finta che le difficoltà non esistano e provarci lo stesso. E’ un consiglio scemo, lo so ma non ne ho altri da dare.
Dire che il mestiere è brutto però no, questo non si può fare. Per me ci sono due filoni fondamentali per arrivare al giornalismo, uno è l’amore per la scrittura, per le parole (e questo è il mio caso), l’altro è il sentirsi investito di un ruolo sociale importante, come chi vuol fare il magistrato perché ama la giustizia, ecco, chi vuole fare il giornalista ama la verità. Poi ci sono casi in cui l’amore per la verità si fonde con quello per la scrittura, e lì nascono i grandissimi giornalisti.

Pensa sia così anche all’estero?

Questo non lo so, di certo ci sono delle somiglianze. Lo strapotere della pubblicità è uguale ovunque, ormai viviamo in una società mercantile, dove tutto è merce ed è difficilissimo ritagliarsi degli spazi liberi, secondo me però è possibile. Ci sono dei pertugi, delle vie di fuga. Io non so quali sono, non sono nei vostri panni, ma esistono e bisogna trovarli.

Parlando più specificatamente del festival, quali sono secondo lei gli obiettivi di manifestazioni come questa? Non c’è il rischio che i Festival, più che un’occasione per i giovani diventi una specie di “pausa di riflessione” per riflettere sul berlusconismo, sul conflitto d’interessi e sui soliti temi? E’ solo questo il giornalismo?

Intanto uno degli obiettivi dei festival in generale è mettere a contatto il pubblico e gli operatori. E mi pare che noi qui, ora, siamo la dimostrazione che questo accade e funziona bene. I giornalisti famosi, o pseudo tali, incontrano persone interessate alla materia, ne parlano e discutono. Questa mi sembra una cosa molto importante, soprattutto in un contesto così informale. Ovviamente aiuta anche il tipo di città, Perugia sembra fatta apposta per fare lo struscio su e giù, per incontrarsi e chiacchierare. Poi non so, in teoria si dovrebbe anche fare un po’ il punto della situazione, ma è talmente complicata che si può andare avanti solo a piccoli flash, ognuno dice la sua. Travaglio e Gomez hanno fatto una lezione di come si possono usare i fatti per fare grande giornalismo investigativo. Poi in questo strano paese il lavoro di Gomez e Travaglio diventa una specie di provocazione politica, uno può fare obiezioni su questo o quello, ma nella sostanza Travaglio è uno che fa bene il suo mestiere. Mi hanno detto che anche il dibattito con Riotta è stato molto animato [da Inchiostro Ndr], addirittura con qualche tensione e va benissimo anche questo! Per me va ad onore di Gad Lerner aver retto solo due mesi come direttore del TG1, significa che nel suo profondo aveva ancora qualcosa, che era irriducibile a un cliché. E la cosa mi sembra molto positiva.

Un aggettivo per descrivere il giornalismo vent’anni fa e uno per descriverlo adesso.

Gli aggettivi sono sempre gli stessi: difficile e appassionante. Non c’è mai stata un’età dell’oro in cui il giornalismo era un’autostrada, i problemi ci sono sempre stati, così come i condizionamenti.

Il problema che affligge l’informazione è sempre lo stesso?

No, adesso il quadro è sicuramente peggiore. Prima di tutto per l’assetto proprietario, basti pensare alle televisioni. Davvero ha detto bene Franceschini dichiarando che la sola idea che le nomine della Rai siano state decise ad Arcore è orrida. Ma come fa il padrone di un’azienda rivale a decidere le nomine del suo principale concorrente? In America è un reato penale, si va in prigione!

Qui invece ti premiano.

Ormai è passato il concetto che sia inutile parlarne ancora. Invece è una cosa gravissima. L’assetto proprietario, dunque è peggiorato enormemente e poi, ripeto, quello che è ulteriormente peggiorato è la dipendenza sempre più stretta, ormai patologica, dei media dalla pubblicità. Un direttore di giornale che si trova davanti un articolo che mette in cattiva luce un suo inserzionista ha molte difficoltà a pubblicarlo perché pensa al suo stipendio e a quello dei suoi redattori. Non saprei come uscirne.

E la satira in tutto questo che posto occupa?

La satira è un discorso complicato. Non è vero che non c’è più, anzi, ce n’è anche troppa, ormai è dappertutto, anzi, è dispersa. Una volta, non trovando posto nei media tradizionali, si concentrava in dei luoghi, come fossero delle riserve indiane. C’erano alcuni giornali e se volevi la satira sapevi dove andare a cercarla. Penso al Male, ad alcuni settimanali e a pochi programmi televisivi come Avanzi. Ma voi non eravate ancora nati!
Oggi la satira è ovunque, vedere Vincino sul Corriere della Sera per voi è normale, ma se l’avessero detto a me vent’anni fa avrei pensato che mi stessero prendendo in giro, un po’ come se mi avessero detto che sarebbe diventato presidente del consiglio…qualcuno.
Questo è quello che è successo, la satira un tempo era come una tintura, molto forte, concentrata, poi si è diluita dappertutto, per cui è molto cambiato il suo ruolo.

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