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Defenders: vite incrociate di quattro disadattati

Avevamo chiuso la prima metà di recensione di Defenders parlando di deflagrazione. Essa si è verificata ma si è trattata di un’esplosione controllata, centimetrata, programmata come una demolizione. Defenders si conferma un prodotto di qualità nel genere della narrativa seriale superomistica ma invece di regalare momenti entusiasmanti e abbuffate di azione e combattimenti, come il suo omologo Avengers (Joss Whedon, 2012), si limita per così dire a centellinare una serie di eventi dai risvolti impressionanti ma dalle meccaniche prevedibili.

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Il grande merito di Drew Goddard è senz’altro quello di aver amalgamato splendidamente i quattro protagonisti in una convincente miscela eterogenea nella quale ogni difensore contribuisce in maniera personalissima allo svolgersi delle vicende. La formula è indubbiamente molto intelligente e consiste in un gioco delle coppie ad alternanza. Per esempio: se il duo composto da Charlie Cox (Matt Murdock/Daredevil) e Krysten Ritter (Jessica Jones) va a coprire la parte più investigativa della storia, i rimanenti Mike Colter (Luke Cage) e Finn Jones (Iron Fist) si occupano della parte action e pulp. Snodando le vicende su due fronti interconnessi ma altrettanto autonomi, gli sceneggiatori scambiano agilmente i membri delle coppie creando intrecci gustosissimi e al tempo stesso rispettosi della mitologia originale. Decisamente sottotono invece sono i comprimari che soffrono di una scrittura nei loro confronti poco generosa. Non è esagerato affermare che sostanzialmente tutti i deuteragonisti sono di fatto relegati in un angolo di sceneggiatura, e non se ne capisce il motivo persino se si tiene conto dell’espediente realistico del “non mettere in pericolo i propri i cari”. Si salvano giusto le due “Figlie del Drago”, Jessica Henwick (Coleen Wing) e Simone Missick (Misty Knight) quest’ultima soprattutto nella parte finale, quasi una protagonista di prim’ordine. Ma se comunque sul fronte dei protagonisti la situazione rimane per quanto solida, non propriamente lo stesso si può dire per gli antagonisti. Questo è forse un difetto tipico di molte produzioni Marvel Studios sebbene qui bisogna riconoscere lo sforzo degli autori di alzare il livello di qualità. La Alexandra di Sigourney Weaver si rivela sorprendente ma non nelle modalità che speravamo e persino la Madame Gao di Wai Ching Ho è piuttosto sottotono, specialmente se comparata con le sue precedenti e brillanti perfomance in Daredevil e Iron Fist. Bellissima l’Elektra di Élodie Yung tanto sul piano fisico (combattimenti all’altezza delle aspettative) quanto su quello psicologico (qualcuno dica a Frank Miller di stare tranquillo. Questa Elektra è la sua al 100%) anche se persino lei soffre di una scrittura carente, nel suo caso un po’ frettolosa.

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Sorge il dubbio tuttavia che forse è sbagliata la nostra visione dualistica di buono e cattivo. In questa serie più che in altre infatti non sono propriamente i villains il vero ostacolo degli eroi ma piuttosto (e questo è tipicamente marvelliano) gli eroi stessi. Sono le loro contraddizioni, idiosincrasie, perversioni, vizi e mancanze a scatenare buona parte degli eventi catastrofici della trama, ora con risultati più che apprezzabili (gli episodi 6 e 7 in questo sono eccezionali) ora con qualche sbavatura di troppo. Il personaggio di Finn Jones per esempio continua a peccare clamorosamente di imbarazzanti vizi di forma tanto da sembrare poco più che un adolescente irrequieto sul campo di battaglia (lontanissimo quindi tanto dalla filosofia Zen che afferma di conoscere tanto dal guerriero esperto e temprato che aveva creato Roy Thomas). Ma sono le tematiche ciò che affrontano veramente i Defenders, tematiche che spaziano dalla giustizia retributiva alle ancora persistenti questioni etniche e (pseudo)razziali senza dimenticare una buona dose di sano romanticismo e più di tutte la paura della morte. Tutto ciò si traduce in una scelta di dialoghi caratterizzati da una profondità sorprendente senza che si sacrifichino mai semplicità e chiarezza. Sono un po’ sacrificati invece i combattimenti, mai deludenti ma comunque pochi e lontani dagli standard altissimi di coreografia e montaggio ai quali ci aveva abituato Steven S. DeKnight con il suo Daredevil.

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Menzione speciale alle musiche: lodevole la scelta di alternare pezzi di musica classica al rap contemporaneo (come avevamo già evidenziato nella prima parte di recensione) ma il merito di John Paesano, compositore della serie, risiede nell’aver creato un tema iniziale che ha la sonorità di un inno, l’anima di un brano new age e un incalzante crescendo che rivaleggia senza problemi con i temi classici di Danny Elfman.

In questa serie comunque la vera vincitrice è la storia stessa che invece di porsi come punto di raccordo e conclusione per le trame precedenti, sceglie invece di essere un crocevia di vite parallele che finiscono col diventare incidenti. Defenders non è la storia di quattro supereroi che uniscono le proprie forze contro il male ma è piuttosto la storia di quattro cittadini di New York un po’ speciali e dei loro sacrifici per fare la scelta giusta. Certamente il sovrannaturale rende il tutto più godibile per il grande pubblico ma è la grande cura nella scelta delle storie da raccontare che rende Defenders un nuovo standard della narrazione fumettistica in TV.

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