Sport

WRESTLING, QUESTO SCONOSCIUTO.

Ci sono quattro persone in una stanza. Il televisore è acceso, sta per iniziare il programma a cadenza settimanale più longevo della storia della tv americana.
– “Che diavolo è ‘sta roba”?
– “Ma sì dai, quello che guardavamo su Italia 1 con Giacomo “Ciccio” Valenti e Recalcati…”
– “Il wrestling! Quello dove fanno finta di picchiarsi…”
– “Ragazzi, silenzio che stasera torna Daniel Bryan a Raw”.

Raw, prodotto della WWE: World Wrestling Entertainment, la più grande multinazionale (termine che mi pare appropriato) di wrestling al mondo. O, per dirla in un altro modo: il più grande spettacolo ambulante esistente sul pianeta.

Bravi ragazzi e cattive persone; amici, fratelli e gemelle; rivali, entità sovrannaturali e bastardi senza cuore. Alcuni volano, altri sono dei giganti e molti sono barbuti e/o pieni di tatuaggi. Quasi nessuno ha un aspetto rassicurante. Ma tutti hanno un obbiettivo: vincere. Uno, due, tre. Alzare una cintura dorata e poter dire: “Io sono il migliore”. O almeno così la pensava chi di noi guardava, con occhi da bambino, questi strani energumeni (tranne i superfusti, che nemmeno da piccoli ci credevano, ma loro non credevano neanche a Babbo Natale, figurarsi al wrestling, tze!).

Se avessi avuto un penny per ogni volta che ho sentito dire “il wrestling è finto”. Ladies and germs, there are news for ja: il wrestling non è finto, è predeterminato. Ma prima che voi iniziate a insultarmi (più di quanto magari non avrete già fatto), mi spiego meglio. Nessuno (che non pisci più sul vasino) vi dirà che quelli stanno davvero cercando di cavarsi un braccio o rompersi il collo a vicenda. Perché non è così. Piaccia o no, quei ragazzotti stanno intrattenendo il pubblico. Le loro mosse, prese e tecniche, i loro discorsi al microfono, le varie azioni eroiche o vili e addirittura le loro espressioni facciali hanno una sola finalità: divertire i fan. Ogni sera, che ci sia mezza America a guardarli in tv, ventimila persone in un palazzetto o una manciata di famiglie a Olginate, l’obbiettivo è lo stesso. Degli attori, allo stesso tempo stunt-man, atleti e lottatori, spinti ogni sera da ciò che accomuna i più nobili teatranti e buffoni (in senso latino): sospendere per un attimo la realtà.chris masters colonna vert

“Predeterminato, non finto” significa, dunque, che due attori sono su un palco (in questo caso un ring) e recitano un copione, improvvisando e spaccandosi la schiena.

E se non credete a me, chiedetelo a Chris Mordetzky, noto in WWE come Chris Masters. Oppure date un occhio alla foto della sua colonna vertebrale.

WWE. La principale compagnia di wrestling al mondo: quattro show televisivi settimanali, molti altri non ripresi dalle telecamere, una produzione cinematografica, un proprio network televisivo e addirittura un paio di reality show. Quasi trecento giorni all’anno in giro per il mondo, in tutti i cinque i continenti. Ma basta uno e un solo secondo per sbagliare e farsi male. E molto anche.

È successo, ad esempio, a Daniel Bryan (vero nome Bryan Danielson). Capelli lunghi, barba “da capra” incolta, fisico “normale”, piccolo per gli standard della compagnia, ma un cuore enorme. E, soprattutto, una conoscenza della (e un amore per la) disciplina che sfiora le alte volte celesti: semplicemente, il migliore al mondo.
Recentemente, intervistato da “Alternative Nation”, ha parlato del suo rientro dopo otto mesi di inattività a causa di un grave infortunio al collo.
«Cambierò il mio modo di lottare, ma non necessariamente a causa dell’infortunio. Il wrestling è qualcosa dove devi  continuamente evolvere il tuo stile. Mi piace pensare che sia la più artistica tra le arti marziali. È una disciplina che richiede molta creatività: ciò che facciamo è un combattimento artistico e creativo, per questo devi saperti evolvere. Sono stato seduto sul divano di casa negli ultimi otto mesi, guardando il prodotto e osservando ciò che vi è in eccesso e ciò che vi è difetto, così da poter portare qualcosa di diverso e di più emozionante per i fan. Dunque sì, cambierò il mio stile. Sarà più delicato del mio collo? Non lo so. [ride, ndr]. Cambierò il mio modo di combattere, ma non necessariamente sarà fisicamente meno dispendioso. […]

Mi piacerebbe fare wrestling fino a quando il mio corpo riuscirà a sopportarlo. È la prima volta che faccio un po’ di soldi facendolo. [ride, ndr] Mi diverto e da quando sono nella WWE, è  la prima volta che, davvero, può garantirmi un buon guadagno. È una figata, è la mia passione. [Chiedermi per quanto ancora continuerò] è come chiedere a un musicista per quanto ancora suonerà. È difficile vedersela con l’idea che non sarai più in grado di lottare, ma devi anche realizzare che c’è qualcosa di più che è qualcosa di molto provante fisicamente e che il tuo corpo un giorno non sarà che ce la farà più. Dunque in quel momento voglio essere abbastanza intelligente, supportato mia moglie, o da qualcuno, per poter dire: “Ok, è tempo di fermarmi, perché se non lo faccio mi dovranno mettere protesi alle anche, alle ginocchia, etc”».

Daniel-Bryan-2014-WM-30Nato a Aberdeen, Washington. Cresciuto con la passione per il wrestling. Dalla città che ha dato i natali a Kurt Cobain ha viaggiato per tutto il piovoso nord-ovest degli States, esibendosi inizialmente per taglialegna bevitori di birra in camicia di flanella. Allenato da alcuni dei migliori, diventato una personalità di culto nella scena indie, è approdato in WWE. Licenziato immediatamente perché aveva “strangolato” con la cravatta un addetto durante una registazione e ritornato per suffragio popolare. Rimasto nel limbo, ritenuto dalla dirigenza un “B+ player”, ma col tempo sospinto dal pubblico in paradiso: sul tetto del mondo dopo la trentesima edizione del Superbowl del wrestling, “Wrestlemania”. Un ragazzo semplice, una persona speciale, un wrestler con etica, rispetto e passione per la disciplina.

«[Vince McMahon, il proprietario della WWE, ndr] ha detto che la nuova generazione non ho alcuna ambizione. È buffo, [ride, ndr] perché la WWE sottopone ad alcuni test della personalità le più importanti superstar, per valutarne alcuni valori, quali bramosia di potere, personalità e altro. Una delle cose che valutano è l’ambizione. È divertente, perché in quel campo io ho ricevuto il punteggio più basso che l’esaminatrice avesse mai visto. In una scala da 0 a 100, in percentuale, avevo circa l’1%. [ride, ndr] È divertente perché l’esaminatrice mi ha detto: “Com’è possibile che una persona del tuo successo non sembra avere alcuna ambizione?!” e io le ho risposto: “Beh, ecco il problema del vostro test: io non ho ambizione per ciò che la società ritiene importante, come, ad esempio, i soldi o roba simile. La mia ambizione è quella di essere il miglior wrestler che posso essere”. Penso che ci sia una divergenza generazionale ed è per questo che le vecchie generazioni ci considerano senza ambizione. La nostra generazione vuole fare qualcosa di diverso sia in questo business che nella società. La vecchia generazione ci dice: “No ragazzi, dovreste voler questo e quell’altro. Tuttavia, molti della nostra generazione dicono: “No, non vogliamo ciò che dite voi, desideriamo qualcosa di diverso, perché molte delle cose che voi avete voluto sono la causa dei problemi di questo mondo. Dobbiamo cambiare il nostro sistema di valori”. Ecco dove sta la differenza. Ma le persone devono alzarsi in piedi e dire: “No, questo non mi va bene, sono qualcos’altro. Voglio portare me stesso in televisione, questo è ciò che voglio essere nella WWE, nel mondo del professional wrestling ed è quello che vorrei essere nella vita. Le persona devono avere il coraggio di dire certe cose».

E questo, senza vergogna alcuna, è un mondo che io amo. Senza gloria ai più, senza riconoscimento a chi vive (e muore) per questo, nel tentativo di lasciare un segno nel cuore di qualcuno, nell’attimo di un sorriso o d’una lacrima. Un equilibrio tra realtà e finzione, dove tutto appare così vero e reale a chi, anche solo per un attimo, ha il coraggio di chiudere gli occhi solo per spalancare le porte dell’immaginazione. Perché tutto questo, certo, predeterminato, è un mondo di persone vere, parte di una società basata sull’apparenza. Perché tutt’altro che finzione è l’eterna lotta tra bene e male.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *