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We are all witness

La notte di domenica 19 giugno ha fatto un regalo a tutti gli appassionati di basket del mondo, sia a quelli rimasti svegli fino alle cinque del mattino del lunedì, sia a chi per un motivo o per l’altro ha aspettato la replica del giorno dopo.

Un regalo, sì, perché l’opportunità era di quelle importanti che non si lasciano sfuggire facilmente: una gara-7 è sempre un evento, gara-7 di finale è l’evento.

Si gioca alla Oracle Arena di Oakland, California; da una parte i padroni di casa, campioni in carica: i Golden State Warriors; dall’altra i Cleveland Cavaliers, franchigia che non ha mai vinto il tanto agognato anello e reduce da una rimonta: sotto 3 a 1 dopo gara-4 ha rimesso tutto in pari andandosi a giocare la bella.

La partita è stata, come ci si poteva aspettare, intensissima, sofferta, e le due squadre sono andate di pari pari con pochi strappi.

Steph Curry contro LeBron James, con la straordinaria partecipazione di Draymond Greene, Klay Thompson, Kyrie Irving, ecc.

Ebbene, il cast è stellare (e non poteva essere altrimenti) ed il film è un capolavoro, un colossal d’antologia, perché con gara-7 abbiamo avuto la fortuna di assistere alla storia nel suo compiersi. Cleveland riesce nell’impresa, primo titolo della sua storia, prima squadra a rimontare una serie di finale sotto 3 a 1, con l’aggiunta di aver disputato la gara decisiva all’Oracle Arena, che assomigliava ad un girone infernale di maglie gialle.

L’Ohio intero è in festa, è un intero popolo in visibilio che si prostra al suo re: LeBron Raymone James.

Il soprannome di “Re” se l’era già guadagnato, questo è certo, ma con questa performance entra direttamente nell’Olimpo dei più grandi di tutti i tempi.

Preso di mira dopo i primi quattro episodi della serie, additato come colpevole di non essere decisivo, perdere troppi palloni, senza killer instinct, invecchiato e via dicendo, LeBron ha dato il via nei tre restanti capitoli a qualcosa che definire umano avrebbe del blasfemo.

Gara-5: 41 punti, 16 rimbalzi, 7 assist, 3 palle rubate, 3 stoppate e 2 sole palle perse per 42 minuti di gioco;

Gara-6: 41 punti, 8 rimbalzi, 11 assist, 4 palle rubate, 3 stoppate e 1 palla persa in 43 minuti;

Gara-7: 27 punti, 11 rimbalzi, 11 assist, 2 palle rubate, 3 stoppate e 5 palle perse in 46 minuti.

Già bastano solo questi numeri a far capire di quale livello celestiale stiamo parlando, a questo si aggiunge ovviamente il titolo di MVP delle Finals chiuse a 29,7 punti di media, 11,3 rimbalzi e 8,9 assist. I numeri si spera aiutino a descrivere la grandezza di tutto questo, essendo difficile trovare parole sufficienti.

Ci sarebbe ancora una cosuccia da raccontare, l’istantanea che resta impressa nella mente: 89 pari, la palla pesa diversi quintali, 1:55 minuti alla fine, i Warriors recuperano palla, Iguodala si invola a campo aperto per il più semplice dei canestri che potrebbe risultare decisivo. 1:51 minuti e Iguodala vuole appoggiare al tabellone ma la palla viene inchiodata lì, non si sa come sia possibile, non ci si rende conto di cosa sia davvero successo: è arrivato il Re, ecco cos’è successo.

Un solo uomo al mondo può fare quella giocata in quel contesto, in quel momento, dopo aver giocato per più di 40 minuti a quell’intensità, la fortuna di Cleveland è che quell’uomo gioca per loro, porta quella casacca.

La nostra fortuna? Esserne testimoni.

We are all witness, diceva lo slogan, e questa volta lo siamo davvero tutti.

Grazie, LeBron.

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