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#WildWest – 9 • Spaghetti Western: Sergio Leone – Parte III

#WildWest • Il Cinema Western passo passo, nella rubrica di Samuele Badino. 9° episodio. La Trilogia del Tempo di Sergio Leone, che chiude la sua esperienza Western. Clicca qui per scoprire tutti gli articoli.


Leone non ha diretto che otto film nella sua carriera – Gli ultimi giorni di Pompei  (1959), da co-regista –, ma ha segnato così imperiosamente la storia del Cinema che tutti i registi seguenti ci si sono dovuti in qualche modo confrontare. Torniamo oggi a parlarne, in un lunghissimo commiato, attraverso un filone Western storico  contaminato, per poi arrivare al gangster movie, . Parliamo dei primi due film della cosiddetta Trilogia del Tempo  – C’era una volta il West  (1968), Giù la testa  (1971), C’era una volta in America  (1984) –, che chiude definitivamente il genere con cui Leone ha fatto fortuna.

Dopo il successo di Per un pugno di dollari  (1964) – clicca qui per approfondire – e dei successivi capitoli della Trilogia del dollaro  (clicca qui per approfondire), i cineasti italiani si sono tuffati senza pensieri nello sperimentare lo Spaghetti Western, con risultati più o meno soddisfacenti. Abbiamo già parlato di Sergio Corbucci (clicca qui per approfondire), ma, solo dal 1964 al solo 1970, le pellicole considerabili come “Western all’italiana”  furono più di settantacinque. Se includiamo gli anni settanta, in tutto ne vennero prodotte tra le centocinquanta e le duecento, di cui ben poche sono degne di nota (clicca qui per approfondire).

Leone non aveva di certo previsto questa fortuna del genere e in realtà non ne fu per niente soddisfatto. Non apprezzava questa inflazione e non vedeva nessun rapporto di discendenza né tantomeno di comunione con i film del genere e comprese di doverlo abbandonare.


C’era una volta il West  (1968)


9 - 3Pensando a come dare un addio degno al West, Leone non può far altro che tornare al classico, a John Ford (clicca qui per approfondire). Il regista parte quindi dal set, spostandosi, dalle colline andaluse che si erano prestate da teatro per la Trilogia del dollaro, alla Monument Valley, tanto cara al cineasta americano – sebbene nelle sequenze iniziali si riconosca la campagna emiliana. Anche la scelta del cast  riflette questa tendenza: non più Eastwood, ma Henry Fonda – attore di formazione fordiana – e Charles Bronson –, che avevamo trovato ne I Magnifici Sette  (clicca qui per approfondire) –, mentre la protagonista femminile è una stupenda Claudia Cardinale.

Di origine fordiana, ma approfondito e ampliato, è il tema centrale della riflessione sul tempo, che si sviluppa nell’incipit  – scritto da Dario Argento e Bernardo Bertolucci – in cui l’arrivo treno è sinonimo non solo di modernità, ma di fine di un’epoca, come ne L’uomo che uccise Liberty Valance  (clicca qui per approfondire).9 -1

Il Tempo  è il filo conduttore del film. La dilatazione temporale che Leone ci aveva fatto conoscere, e a cui ci aveva abituato, viene qui ampliata ancora, con un’equilibrio sottile, che dopo poco va a stravolgere la percezione temporale dello spettatore, abituandolo ad un ritmo scandito da rumori, suoni, silenzi, movimenti di macchina arditi, tagli di montaggio articolati e al contempo eleganti; la storia scompare in favore della visione, della contemplazione di una pellicola che sembra avere un magnetismo mistico. L’idea dell’addio sembra ossessionare Leone, che crea una pellicola solenne e raffinatissima, una sorta di lungo epicedio funebre in memoria di un genere ormai defunto, in una sinfonia visiva e uditiva orchestrata perfettamente, in cui la fotografia e la colonna sonora di Ennio Morricone si uniscono in un connubio inscindibile e monumentale. Il regista stesso definì il film come una sorta di «Balletto di morte».

I protagonisti sono i tipi  leoniani, i temi che ricorrono sono la vendetta, il potere, i soldi, la violenza. Violenza che raggiunge il suo apice nel duello finale, in cui i contendenti passano dai tre de Il Buono, il Brutto e il Cattivo  a cinque, tra cui una donna – per la prima volta nel Cinema armata e pari agli uomini.9 - 2


Giù la testa  (1971)


Leone riprende gli elementi classici del Western (la rapina in banca, l’assalto al treno, l’amicizia tra due fuorilegge, la solitudine dei protagonisti), reinventandoli e piegandoli ad un’invettiva politica e storica che prende di mira il potere e la sopraffazione. Il film inizia infatti con queste celebri parole di Mao Tse-tung: «La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza».9 - 4

Il film, se può essere definito un Western, è quantomeno atipico. All’ambientazione del sud-est americano negli anni tra la guerra civile e la fine del XIX secolo si sostituisce un’ambientazione messicana. 1917: la rivoluzione zapatista in cui – loro malgrado – si ritrovano coinvolti i due protagonisti – il bandito Juan Miranda (Rod Steiger) e l’irlandese John Mallory (James Coburn). Leone si rende conto che gli anni sessanta e il Miracolo italiano sono finiti ed è tempo di una pellicola più critica, che racconti i pro  e i contro  dello spirito ribellistico nato nel ’68. La critica va in entrambe le direzioni: da un lato la scena iniziale, nella diligenza, dove i passeggeri, ricchi e razzisti, lo scherniscono mentre si ingozzano alla faccia sua, con insistiti primi piani sulle bocche; dall’altra le parole dello stesso Juan, secondo cui «Le rivoluzioni hanno origine da quelli che sanno leggere, che leggono i libri e poi vanno dagli altri che non sanno leggere a dir loro quello che devono fare», ma che poi non riescono a concludere nulla.

La figura dell’irlandese John Mallory è un riferimento evidente ai terroristi degli Anni di piombo: un piromane, dinamitardo che cerca una motivazione alla sua violenza in una causa che non sa nemmeno se sia giusta o meno. Un sessantottino deluso, insomma, che si reinventa brigatista attentatore.9 - 5


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