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#ViveOggi: 3 novembre, Calogero Caiola

Facciamo un esperimento: cercate su Google “Calogero Caiola”. Dovreste trovare tra i primi risultati un calciatore amatoriale e i video delle sue prodezze sportive. Non esattamente la persona di cui vorremmo parlarvi oggi. Ora aggiungete “vittima di mafia”; a questo punto la ricerca dovrebbe aver dato i suoi frutti. Calogero Caiola era un contadino siciliano di San Giuseppe Jato in provincia di Palermo. Il primo maggio 1947 si era appartato con tre suoi amici e una prostituta in una piana vicino a Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi sempre in provincia di Palermo. Allertato probabilmente dal rumore dei mitra proveniente da poco lontano, Calogero, preso il suo mulo, si allontanò presto dalla zona per andare ad avvisare le Forze dell’Ordine. Fu in quel tragitto, mentre tornava indietro, che si imbatté nei suoi compaesani i quali, armati di lupara, avevano compiuto una strage che passerà alla storia come “La strage di Portella della Ginestra”. Undici le vittime al momento degli spari, di cui quattro minorenni e ventisette i feriti gravi. Oggi sappiamo che sicuramente gli esecutori materiali furono Salvatore Giuliano e gli uomini della sua banda. Uomini che quasi sicuramente il nostro Calogero Caiola aveva riconosciuto. Proprio per questo sei mesi dopo, il 3 novembre del 1947, il contadino fu freddato vicino a casa sua, tra via Pergole e via Minghetti a San Giuseppe Jato. Non ci volle molto per gli inquirenti a trovare, o sarebbe meglio dire inventare, elementi che aiutassero a dipingere Caiola come un poco di buono, una persona di dubbia moralità, addirittura con tendenze pedofile. Nessuno osò parlare di omicidio di mafia.

Quando pensiamo alle vittime di mafia pensiamo subito ai “grandi”: Falcone e Borsellino, Carlo Alberto dalla Chiesa, Peppino Impastato e molti altri ancora. Persone le cui vite sono state così intense e significative da essere inevitabilmente un esempio per le generazioni successive. In questo modo esse continuano a vivere, anche se non raramente come meri feticci di un’antimafia retorica. Calogero Caiola invece è una di quelle tante vittime innocenti di mafia “morte due volte”. Prima col sangue, poi con l’infamia e la dimenticanza. Eppure, delle oltre novecento vittime innocenti di mafia accertate la stragrande maggioranza di esse non ha mai ricevuto una trasposizione filmica che narrasse la sua vita, non ha mai dato il nome a una scuola, una piazza o una via. Queste vittime hanno solo la “fortuna” di apparire in un elenco ufficiale e di ricevere al massimo la lettura del proprio nome una volta l’anno, il 21 marzo, in diverse piazze italiane. Sia chiaro si tratta di un notevole e fondamentale passo in avanti compiuto anche e soprattutto grazie all’associazione “Libera contro le mafie”, eppure, proprio come ci insegna Don Luigi Ciotti, si può e si deve fare di più, sempre di più. Per questo Inchiostro ha deciso di dare inizio a #ViveOggi, una rubrica mensile nella quale si cercherà di dare spazio a vittime poco conosciute e alle loro storie; una rubrica che vuole essere memoria e impegno, ma anche un interrogarsi critico sul perché molte vite e molte storie siano ancora oggi sconosciute o non abbastanza note. Inoltre, non vogliamo solo concentrarci sul passato, ma anche individuare e potenziare i ponti col presente. Proprio per questo abbiamo scelto di chiamare la nostra rubrica #ViveOggi, perché è molto semplice quando non riduttivo ricordare una persona a causa della sua morte violenta. Molto più difficile, ma anche più giusto, è ricordare che prima di essere vittime certe persone sono state anche “vive” e individui degni di rispetto. Continuiamo l’esperimento sopracitato. Cercate “Calogero Caiola vittima di mafia”: troverete qualcosa certo, ma poco, molto poco.

Come ricordare allora qualcuno di cui si sa pochissimo se non l’essenziale? La nostra proposta è quella, come accennavamo poc’anzi, di creare dei ponti col presente e con la più immediata attualità, non perché crediamo semplicisticamente che la Storia si ripeta, bensì che certe storie, con la “s” minuscola, anche quando non sembra, hanno degli inquietanti punti in comune tra loro. Prendiamo il caso di Stefano Cucchi nei suoi risvolti più recenti. Collegare la vicenda di Calogero Caiola al caso Cucchi può sembrare al meglio forzato se non addirittura fuori luogo. Eppure, entrambi, morti di morte violenta, hanno conosciuto l’onta dell’infamia, prima dalle Forze dell’Ordine e poi dalla società. Caiola era un licenzioso e Cucchi un drogato. Ed entrambi si sono riscattati o avrebbero trovato riscatto nel valore aggiunto della testimonianza, il più vecchio in prima persona, il più giovane nella sorella. Così Caiola è tornato ad essere un contadino e Cucchi un geometra. E in qualche modo possiamo affermare che siano ancora vivi. Romanticismo a parte, è questo il nostro obiettivo: dare memoria, spazio e vita a chi finora ne ha avuto troppo poco e condividere con i lettori pezzi della nostra storia e memoria collettiva nel segno della responsabilità.

Progetto e realizzazione grafica di Daniele Raimondi

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