#ViveOggi: 21 aprile, Paolo Borsellino
Paolo Borsellino era un giovane imprenditore di 32 anni che abitava a Lucca Sicula, un paesino in provincia di Agrigento, con l’aiuto del padre Giuseppe Borsellino, verso il finire degli anni ’80, acquistò un impianto per la produzione di calcestruzzo. Paolo aveva intuito che in paese un impianto di calcestruzzi non poteva che fare grandi affari, perché a Lucca Sicula si costruisce uno stadio per una squadra che non c’è e strade che sembrano non avere una fine.
Paolo e Giuseppe non potevano sapere che il calcestruzzo costituiva già da allora per Cosa Nostra un grande affare da gestire direttamente o per il tramite di fidati imprenditori compiacenti, che operavano in regime di assoluto monopolio. Tutto questo emerse solo negli anni successivi a seguito di importanti operazioni antimafia che colpirono la potente mafia agrigentina.
Perciò per la ditta di Paolo e Giuseppe non c’è spazio, i lavori vengono sempre aggiudicati da altre imprese del paese. Ovviamente, un’attività senza introiti inizia ad indebitarsi. Giungono le prime offerte per rilevare la società da persone poco raccomandabili ma Paolo rifiuta, e da quel rifiuto iniziano ad arrivare minacce, danni alle attrezzature, estorsioni. Giuseppe e Paolo decidono di vendere la società, cedono la metà delle quote societarie a dei soci. Ma la situazione non cambia, Paolo e Giuseppe hanno a che fare con quattro soci che vogliono sbarazzarsi di loro; vogliono che cedano le loro quote societarie e passano alle minacce verbali e fisiche.
Il 21 Aprile del 1992 Paolo viene ritrovato morto a bordo della sua Fiat Panda, lo trova il padre verso la mezzanotte. Paolo è stato ucciso e da quel momento anche Giuseppe è un morto che cammina.
La notte stessa il padre va dai Carabinieri e racconta tutto. Racconta come vanno le cose nel mondo degli appalti, parla dei problemi con i soci, delle minacce subite, degli affari che la mafia aveva nell’agrigentino. Ai magistrati chiede di indagare, perché Paolo potrebbe essere stato punito per aver ceduto l’azienda a persone che non sono di Lucca, una vittima sacrificale di uno scontro tra cosche. Nei mesi che seguono contatta e parla con chiunque pensi che possa aiutarlo: dal Centro studi Peppino Impastato a Paolo Borsellino (il Giudice). Chiede la scorta perché la sua collaborazione con la Giustizia è diventata di dominio pubblico. Ma la Giustizia risponde negandogli la scorta, gli rilascia un porto d’armi per potersi difendere, in pratica un testimone che si fa da scorta da solo.
Una mattina Giuseppe esce di casa per comprare le sigarette. Si trova nella piazza del paese, sale sull’auto ma una moto gli impedisce di fare retromarcia: sono i suoi assassini. Uno dei due si avvicina con il volto coperto dal casco e gli scarica addosso l’intero caricatore della mitraglietta. È il 17 dicembre del 1992.
Accusati dell’omicidio del padre furono i quattro soci, tutti poi assolti nei tre gradi di giudizio. Ancora oggi la famiglia Borsellino chiede verità e giustizia. I Borsellino furono vittime anche della cosiddetta “macchina del fango”, la mafia la usa per delegittimare le sue vittime, in modo che di esse non rimanga memoria e non appaiano come modelli di giustizia a cui ispirarsi. Il pentito Salvatore Inga raccontò infatti che i Borsellino non erano così estranei a Cosa nostra, e per questo il riconoscimento come vittime di mafia fu revocato. Ma quando gli inquirenti iniziarono a capire molto di più sul sistema “impresa-mafia” Inga venne sbugiardato, ma il danno era stato già fatto, ed oggi i Borsellino li conoscono in pochi.
La loro storia è stata dimenticata anche perché lo stesso anno moriva il giudice Paolo Borsellino, e il suo omicidio ebbe sicuramente un’attenzione mediatica maggiore del suo omonimo. Una sorte simile era capitata anche a Peppino Impastato morto il 9 maggio 1978, stesso giorno di Aldo Moro.
Oggi il sistema impresa-mafia è più forte che mai. La mafia è la prima azienda in Italia, fattura 150 miliardi di euro l’anno. Se vent’anni fa la guerra tra clan si combatteva con le armi, adesso viene fatta con gli affari, con gli appalti, con il controllo degli investimenti in settori strategici della produzione nazionale. “Uomini d’onore” vicini al mondo imprenditoriale e forse per questo ancor più dannosi per la collettività. La mafia è prima di tutto un fenomeno di potere, non criminale. I mafiosi sono imprenditori e poi criminali, la criminalità è associata all’imprenditorialità, non il contrario. “Seguite i soldi e troverete la Mafia” diceva Giovanni Falcone.
Fonti:
http://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/238-senti/59981-il-dramma-di-altri-borsellino.html
http://www.giannidragoni.it/finanza/quanto-vale-la-mafia-piu-tutta-la-borsa/