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#ViveOggi: 19 marzo, Don Peppe Diana

Il mese scorso vi abbiamo parlato di Giorgio Gennaro, il primo prete ucciso dalla mafia, nello specifico da Cosa Nostra, a Palermo nel 1916. Si trattò di un evento, e di una morte, di fatto epocale, che segnò la fine dell’idillio tra mafie e Chiesa e che sarà destinato nel tempo a diventare una scissione sempre più netta fino ai giorni nostri (dove comunque permane sempre in alcune realtà un certo grado di connivenza). Nella puntata odierna di #ViveOggi vogliamo concentrarci su una figura che, solo di recente almeno a livello nazionale e in particolare nell’ultimo decennio, sta diventando sempre più conosciuta e importante per comprendere le mafie e il loro contrasto. Oggi parleremo infatti di Don Peppe Diana e di come la sua eredità possa aiutarci a capire la complessità di un periodo storico, come gli anni ’90, e di un territorio, come quello campano, contraddistinti da sangue, potere e voglia di riscatto. Una voglia che il 19 marzo di 25 anni fa conoscerà un suo martire.

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Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio 1958. Casal di Principe non è un territorio neutrale: è infatti uno dei due paesi d’origine degli esponenti del Clan dei Casalesi, una delle più importanti (se non addirittura la più importante) organizzazioni criminali camorristiche. Giuseppe frequenta il Liceo Classico, quindi si laurea prima in teologia biblica presso il seminario di Posillipo e poi in Filosofia all’Università Federico II di Napoli. Nel 1982 sarà ordinato sacerdote e negli anni successivi praticherà anche l’insegnamento di materie letterarie e di religione in diversi isitituti del suo territorio. Negli anni ’80 Casal di Principe è sotto il diretto controllo di “Sandokan” alias Francesco Schiavone, uno dei più importanti boss criminali della Camorra, arrestato definitivamente nel 1998 e dal 2008 in regime di carcere duro. In questo territorio, l’attività di Don Peppe spazia dalla sensibilizzazione nelle strade e nelle chiese, fino alla formazione alla legalità nelle scuole. Nel 1983, solo per fare un esempio, vengono uccisi a Casal di Principe tre ragazzi e i loro corpi dati alle fiamme. Sarà Don Peppe il principale organizzatore di una marcia di protesta in risposta all’evento durante il quale distribuirà dei volantini recanti la scritta “basta con la paura”. Nel 1988, in risposta a un aggresione alla caserma dei Carabinieri d’Aversa, parteciperà alla stesura di un documento dal titolo “Liberiamo il futuro” nel quale denuncierà la presenza mafiosa nel suo territorio.

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Ma il suo documento più importante risale al Natale del 1991, titolo: “Per amore del mio popolo” (che potete leggere integralmente qui). Una lettera che è un vero e proprio manifesto del contrasto alle mafie e di cui vi proponiamo il seguente estratto:

La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Dobbiamo credere che la firma di questo manifesto coincise anche con la sua condanna a morte, condanna che sarà eseguita appunto tre anni dopo il 19 marzo 1994 alle 07:25 nella sacrestia della Chiesa di San Nicola di Bari.

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“Chi è Don Peppe?”

“Sono io”.

E poi seguirono 5 colpi di pistola. L’eredità di Don Peppe oggi è vasta: dal Comitato “Don Peppe Diana” nato proprio con l’intento di mantenere viva la memoria del sacerdote, fino allo sceneggiato Rai del 2014 con protagonista Alessandro Preziosi. Ma l’eredità che più ci preme sottolineare in questa sede è Don Peppe come “uomo d’azione”. A differenza dei classici preti “pastori” che radunano attorno a sé greggi di fedeli in un unico posto adibito tra l’altro al raduno recintato (le chiese), Don Peppe Diana usciva dalle chiese e dai tipici luoghi di culto per affrontare la strada e le sue contraddizioni. Una vita, la sua, che l’accomuna ad altre figure di una Chiesa che sceglie di non tollerare la presenza mafiosa nel proprio territorio, come ad esempio Don Pino Puglisi (ucciso l’anno prima) e Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera. Anche e sopratutto per questo Don Peppe Diana #ViveOggi.

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Come spesso accade, la mafia non solo uccide ma infanga. Nei giorni mmediatamente 
successivi all'omicidio era possibile 
leggere nei giornali locali titoli infamanti come questo

 

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