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#ViveOggi: 16 Febbraio, Giorgio Gennaro

Quello tra mafia e religione, e più precisamente tra la mafia e la Chiesa Cattolica, è notoriamente sempre stato un legame contraddistinto da chiaro-scuri. Questa puntata di #ViveOggi è dedicata proprio al rapporto fra i boss e la religione, alla lunga tradizione di silenzi e complicità ecclesiali che ha accompagnato la storia delle mafie, fino ai primi gesti di ribellione dei parroci contro la violenza delle organizzazioni criminali. Il primo sacerdote ad essere stato ucciso dalla mafia è Giorgio Gennaro, assassinato il 16 febbraio 1916 a Borgata Ciaculli, un quartiere di Palermo. A ordinarne l’esecuzione è stata “l’Alta Maffia” dei Ciaculli, incarnata per l’occasione da Salvatore e Giuseppe Greco (detti rispettivamente “Cicchiteddu” e “Scarpuzzedda”). Giorgio Gennaro era “colpevole” di denunciare pubblicamente l’ingerenza di Cosa Nostra  nell’amministrazione delle rendite ecclesiastiche. Da sempre i mafiosi professano una manifesta religiosità : non deve stupire quindi che la denuncia del sacerdote sia stata per loro un’onta imperdonabile. Bisognerà aspettare quasi 100 anni prima che la Chiesa prenda le dovute distanze dalla mafia: nel 2014, Papa Francesco ha esplicitamente scomunicato tutti quelli che ne fanno parte. Prima di lui solo Giovanni Paolo II nel 1993, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, ad Agrigento si rivolge duramente ai mafiosi e li invita a convertirsi.

Dopo Gennaro altri sacerdoti hanno preso le distanze e denunciato pubblicamente la presenza mafiosa nelle loro comunità, sribellandosi alle organizzazioni e rivolgendosi non solo ai credenti, ma a tutta la comunità civile. Non è mistero ad esempio che Salvatore Riina, negli ultimi anni della sua vita, s’infuriava per quel piccolo parroco di Brancaccio a Palermo, don Pino Puglisi, che aveva portato Dio fuori dalle chiese e Cosa nostra perdeva consenso. Fu ucciso il 15 settembre 1993. Un altro prete, a cui dedicheremo un approfondimento il mese prossimo, è don Peppe Diana. Assassinato a Casal di Principe il 19 marzo del 1994 per il suo impegno contro la camorra, aveva sritto un manifesto d’impegno contro il sistema criminale Per amore del mio popolo non tacerò. Si capisce che i boss sono abituati a ben altri preti e a ben altre chiese. Quelli che celebravano messe nei covi dei latitanti, quelli che facevano (e fanno) inchinare le Madonne sotto le case dei capi-bastone, quelli che ai loro fedeli più speciali spiegano che «c’è una bella differenza fra peccati e reati».

Esemplare è il legame tra‘ndrangheta e alcuni apparati deviati della Chiesa, che dura da decenni: come il caso controverso di Don Giovanni Stilo, l’anziano sacerdote della Locride che venne processato e condannato per mafia, ma poi assolto in Cassazione. C’è poi tutta una ritualità distorta di provenienza religiosa che regola la cultura delle cosche. San Michele Arcangelo è il santo che protegge le ‘ndrine: sulla sua figura si fa colare il sangue dell’affiliato nel rito dell’iniziazione. Padre Pio è il santo “venerato” dalla camorra, la sua icona è in ogni cella e in ogni casa di camorrista. Ci si rivolge invece alla Madonna per sovrintendere gli omicidi. In quanto donna e madre di Cristo sopporta il dolore del sangue e perdona.

Per i capi delle organizzazioni criminali il loro comportamento è cristiano e cristiana è l’azione degli affiliati. Per quanto assurdo possa apparire il boss considera la propria azione paragonabile al calvario di Cristo, perché assume sulla propria coscienza il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui comanda. Il potere è espressione di un ordine provvidenziale: anche uccidere diventa un atto giusto e necessario, che Dio perdonerà, se la vittima metteva a rischio la tranquillità, la pace, la sicurezza della “famiglia”. «Il Signore vi benedica e vi protegga», scriveva sempre nei suoi pizzini Bernardo Provenzano, ogni suo ordine era accompagnato dall’invocazione: «Sia fatta la volontà di Dio».

Ai boss ha fatto sempre paura la Chiesa che denuncia, che si batte per il riscatto dei territori e dei cittadini. La memoria di Giorgio Gennaro e degli altri sacerdoti non si perderà se le loro idee camminano su altri passi: Don Luigi Ciotti con Libera è diventato l’emblema di una chiesa di strada, che si impegna contro il potere criminale. “Ci vuole una rivolta dal basso, delle coscienze, per essere cittadini onesti e responsabili. Però ci vuole una maggiore rivolta che parte dalle coscienze, dal di dentro, ci sono ancora troppi cittadini ad intermittenza, c’è ancora troppa delega e allora “il morso dei più” diventa necessario”.

Per un ulteriore approfondimento vedere:

http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma-puntate/i-mafiosi-e-la-religione/25982/default.aspx

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