CinemaRecensioni

INDIE #17 – recensione della visione di “Viva la libertà”

Mercoledì 27 marzo, ore 22:30: al cinema Politeama, grazie alla rassegna cinematografica INDIE #17 organizzata dall’Udu, è possibile assistere alla proiezione dell’ultimo film di Roberto Andò Viva la libertà. A dire il vero bisogna tornare un’ora dopo, ma per una buona – buonissima notizia: l’afflusso di pubblico per vedere il primo film della serata, Girlfriend in a coma, è stato così alto da causare il piccolo disagio dell’orario. A parte la classica signora italiana che sbraita contro la biglietteria per il disguido (personaggio che sarebbe stato perfetto nel film di Annalisa Piras) nessun disturbo: dopo un’ora sono in sala. La platea è piena, forse non sold out. Non so quanti siano rimasti dopo il docu-film e quanti siano arrivati solo ora come me, mentre assisto alla stupefacente recitazione di un Toni Servillo bifronte. La trama gioca sul classico scambio tra gemelli – del quale solo lo spettatore e pochi personaggi nella narrazione sono al corrente – per raccontare la storia un uomo politico grigio e stanco (Enrico Oliveri) che scappa letteralmente dal proprio mondo e dal proprio Paese. Al suo posto arriverà il fratello filosofo (Giovanni Ernani) in tutto identico al segretario del partito d’opposizione dimissionario, se non per il fatto di essere matto. Giovanni infatti è stato da poco dimesso da una clinica psichiatrica – e il suo “male” porterà conseguenze dirompenti e impensabili, sicuramente benefiche, sulla scena politica della nazione e ancor di più all’interno del partito. Ma non voglio recensirvi il film.
Seduto nel buio della sala, mi preparo alla visione con la consapevolezza dei pochi trailer visti su internet e della trama. Un codardo che scappa e il fratello matto chiamato a sostituirlo. Così matto da accettare e stare al gioco. Così matto da dire esattamente le cose come stanno, quando il giornalista di turno glielo chiede. E così matto da far ridere, ma proprio ridere. Ora, chi mi conosce bene sa quanto io sia strano e pignolo, specie sulle parole. Vado allora a chiarire che la parola da camicia di forza è volutamente corsivata, perché dovremmo arrivare a capire chi sia matto e chi sia normale. E credo che la risposta stia nella radice della seconda parola: da norma, regola, qualcosa che viene deciso per convenzione da una società. Ergo in una società bugiarda e falsa è da matti dire la verità.
Il pubblico ride – certo non sempre, ma forse troppo spesso. Tanto da farmi girare verso la persona è con me, sulla poltroncina alla mia sinistra e che ugualmente basita si chiede il perché. Altra pignoleria: non posso fare a meno di distinguere tra ridere e sorridere. Questo è un film tanto forte da far riflettere ma allo stesso tempo così bello e appassionato da far sorridere – quando Giovanni risponde alle domande della politica con il suo canticchiare e recitare versi, quando sorprende anche lo spettatore che pure conosce la sua pazzia, quando si beffa di un mondo abituato a frasi fatte e marciume. Ma non ridere. I gusti sono gusti, e non tiriamo in ballo Il nome della rosa: la risata stravolge il senso complessivo del film. Soprattutto se viene, grassa e sguaiata, dopo la battuta di Giovanni che dice: «Penso che improvviserò!», stracciado il discorso confezionato dal personaggio di Valerio Mastandrea. Non parliamo poi del tenerissimo e sommesso applauso nel bel mezzo della proiezione (quelli durante i titoli di coda sono ormai la norma dopo i film “impegnati”), in seguito alla battuta clou «Stavolta vinciamo!».

Forse sono io, lo ammetto, a non essere normale. Non ho riso, non ho applaudito – né durante né dopo il film; ho sorriso, a tratti addirittura mi sarei commosso. Quello che però mi sembrava chiaro, e non mi è parso lo fosse anche al pubblico in sala, era che stavamo assistendo a un’opera di finzione. Non alla realtà. Eppure, mettendo da parte per un momento il discorso riso/sorriso, quel breve battimani mi fa riflettere. E dovrebbe far riflettere anche un’altra battuta topica del film, dettata dalla voce della sincerità di Mastandrea sempre più rilassato e meno teso di prima, tanto da abbracciare il nuovo leader: «Uno come lei, io… Lo voterei». E voglio chiudere senza polemizzare, ma sempre volendo riflettere e pensare, su alcune delle prime parole di Ernani.

 

«Se ipolitici sono mediocri è perché i loro elettori sono mediocri».

 

Mediocrità: seducente e infame, perché non richiede sforzi ma ci trascina sempre più in basso. E forse uno dei motivi per cui, inconsciamente, a volte ridiamo come se non ce ne rendessimo conto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *