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Venerdì profano #9 – Erdogan chiama Italia

Martedì scorso, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, avendo finito i giornalisti partii (quelli “amici”, gli altri li sta finendo, ma in altro modo), ha deciso di parlare alla televisione pubblica del 77esimo paese al mondo per la libertà di stampa.

Rai News è riuscita nel proprio intento: intervistare il più ambito tra gli uomini del momento, ma soprattutto evitare che si continui a parlare degli stipendi – pagati con i soldi dei cittadini – di presentatori, consulenti, amici e amici di amici nominati dai partiti, nonché dei cambi nelle direzioni di rete e dei telegiornali per gridare, all’unisono, un “Sì” governativo al referendum costruzionale di ottobre (perché, a differenza della Turchia, per l’Italia la democrazia è una cosa seria).

In Turchia, a seguito del fallito golpe, sono avvenuti rastrellamenti, incarcerazioni e torture; militari, poliziotti, politici, oppositori, burocrati, magistrati e insegnanti: nessuno è esente da colpe per Erdogan.

«Questa struttura assomiglia alla vostra loggia P-2: è un’organizzazione criminale» ha dichiarato il presidente turco, che non si sa se abbia sbagliato esempio, o ne abbia trovato uno calzante, visto che la tessera P-2 numero 1816 ha governato l’Italia per vent’anni e quella numero 2232 tutt’ora siede in Senato, nonché in Commissione Esteri. Se voleva allontanare le voci di un possibile colpo di Stato pilotato dallo stesso Erdogan, l’operazione non è riuscita.

«In Turchia è in corso un golpe contro la democrazia, un golpe che ha fatto 238 martiri» e «finora purtroppo non è venuto nessuno dell’Unione Europea, né del Consiglio d’Europa»: «ehi Mogherini, prima di tutto saresti dovuta venire in Turchia!»

Un attacco, diretto, alle istituzioni europee, che se non venisse dal Presidente che ha ordinato l’arresto di 18mila persone in pochi mesi, dovrebbe far riflettere: esiste una comune politica estera europea? Se sì, qual’è? Se no, perché?

L’Europa ha taciuto nelle ore del golpe, indecisa se appoggiare i ribelli, oppure il governo. Alla domanda se l’Unione sia «dalla parte della democrazia o da quella del golpe», esattamente come per la Libia, e in altri casi, la risposta è: “dalla parte di chi vince”. La Mogherini è pronta: al motto dell’Unione «uniti nella diversità» presto si aggiungerà “quella sul carro del vincitore”.

Erdogan, tuttavia, si è anche mostrato, nel corso dell’intervista, un padre amorevole, un genitore premuroso: «se mio figlio tornasse in Italia potrebbe essere arrestato, perché c’è un’inchiesta aperta nei suoi confronti da magistrati italiani».

Già, perché Bilal Erdogan, a Bologna, in valigia – oltre a camicia e pantaloni, libri, manuali e la peperonata della nonna – ci portava anche somme ingenti di contanti.

«Mio figlio dovrebbe tornare a Bologna per completare il dottorato, in quella città mi chiamano “dittatore”, fanno cortei», «perché non intervengono? Non è uno stato di diritto». E dove andremo a finire se tutti potessero manifestare pacificamente, dopo tutto? E poi, dove siamo, al G-8 di Genova?

«Mio figlio è un uomo brillante (non ha detto “è una brava persona” perché si correva il rischio di confonderlo con papà-Boschi), ma viene accusato di riciclaggio di denaro: che si occupino della mafia in Italia e non di mio figlio».

Renzi ha prontamente risposto: «I magistrati rispondono alla legge e alla Costituzione».

D’altronde, insultare i magistrati italiani non è compito del Presidente turco, ma di quello italiano. Che sia lui indagato, o che lo siano i suoi figli, o i suoi amici, o un pregiudicato (per cui, per altro, alcuni mafiosi sono pure “eroi”) con cui amabilmente riscrivere la Costituzione. Insomma, la base d’ogni democrazia seria.

I magistrati italiani, notoriamente «antropologicamente diversi dal resto della razza umana», tanto che «per fare quel lavoro devi avere delle turbe psichiche» (citando proprio l’ex Presidente italiano, piduista, neo padre costituente), si sa, sono soliti seminare il germe della zizzania: il figlio di Erdogan quei trenta mila euro in contanti in valigia li aveva mica per riciclarli. Macché, sempre a pensare male?

Si possono fare un sacco di cose utili con trentamila euro in contanti: imparare o insegnare a contare; farsi aria nella torrida estate italiana; oppure pavimentare una pizza dello stivale, imitando un Cattelan qualsiasi, facendo concorrenza spietata a Christo.

Oppure li si potrebbe indossare, a mò di vestito, come Lady Gaga: essendo musulmano Erdogan jr. mica può indossare un vestito di carne di maiale, che cavolo? Poi, vuoi mettere un giaccone di carne rispetto a uno di banconote, con quest’ultimo non c’è nemmeno il rischio che arrivi un animalista a lanciarti della vernice. Inoltre, tutti sanno che quest’anno vanno di moda lo Snorkel blue (?) e un verde acceso, mica si può fare brutta figura nel Paese della moda arrivando impreparati.

«In Italia c’è la presunzione di innocenza, fino a che non ci sono prove che dimostrino il contrario, e in Italia non c’è la pena di morte» è intervenuta la giornalista, probabilmente rimasta troppo a contatto col Presidente turco finendo per rimanerne abbagliata, folgorata, forse estasiata, visto che in Italia non esiste la “presunzione di innocenza”, ma quella di “non colpevolezza”, che non dura «fino a che non ci siano prove che dimostrino il contrario», ma fino alla sentenza definitiva della Cassazione.

«Al momento non c’è la pena di morte in Turchia» ha ricordato il presidente, però «il 75% dei turchi la vuole, lo dicono i sondaggi». E sia chiaro, lo dice il 100% dei sondaggi.

D’altronde, Erdogan è uomo magnanimo, se il popolo vuole mezzi pubblici e panini gratis basta che vada a manifestare in suo favore e li ottiene, altrimenti muoia di fame.

È nata la “democrazia delle brioches”. Anzi, è NATO.

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